Corriere della Sera, 28 dicembre 2024
Brevi note sul carcere di Evin
«Nelle prime ore è molto dura. Non sei mai stato così vicino ai muri in vita tua. Non vuoi sederti, perché è gesso e non sei abituato a sederti sul gesso. Ti alzi. Cammini avanti e indietro. Inizi ad avere le vertigini. Dopo che ti senti stordito, ti appoggi a un muro. Dopo tre o quattro ore, le gambe si stancano e ti siedi. E poi urli e nessuno ti sente». È con queste parole che uno scrittore descrive in un report di Human Rights Watch l’isolamento nel carcere di Evin, lo stesso dove è tenuta prigioniera dal 19 dicembre la reporter italiana Cecilia Sala.
L’«Università», la chiamano così questa prigione a causa dell’altissimo numero di oppositori e intellettuali che qui hanno perso la libertà. Quarantatré ettari ai piedi delle montagne a nord di Teheran, aperta nel 1972. Ma è il 1988 il periodo più buio quando migliaia di detenuti vengono giustiziati dopo processi sommari. Con le rivolte antigovernative del 2009, diventa tomba per molti giovani contestatori della cosiddetta Onda Verde. Poi le proteste dopo l’omicidio di Mahsa Amini nel 2022. Tra i detenuti più noti che finiscono nelle celle bianche, il regista Jafar Panahi, che con uno sciopero della fame aveva denunciato le disumane condizioni di detenzione, la cittadina britannico-iraniana Nazanin Zaghari-Ratcliffe, l’attivista e premio Nobel per la Pace, Narges Mohammadi che proprio pochi giorni fa in un’intervista al Corriere ha spiegato come tra le mura delle celle solo la lotta dia senso alla vita. Ma anche l’avvocata per i diritti umani, Nasrin Sotoudeh e un’altra italiana, Alessia Piperno, arrestata a Teheran il 28 settembre 2022 e rilasciata il 10 novembre dello stesso anno. La sezione 209, che sarebbe gestita dal ministero dell’Interno, è la più dura. La luce rimane accesa 24 ore su 24. Come denunciato dalle organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty international, gli abusi e le violenze sono all’ordine del giorno. Uno scrittore ha spiegato alle Ong: «Da quando ho lasciato Evin, non sono più riuscito a dormire senza sonniferi. È terribile. La solitudine non ti abbandona mai, anche molto tempo dopo che sei “libero”. Ogni porta che ti viene chiusa, ti colpisce. Ecco perché la chiamiamo “tortura bianca”».