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 2024  dicembre 27 Venerdì calendario

Jolani fa riparare l’albero dato alle fiamme

«Sarà riparato e rimesso al suo posto», ha tuonato Ahmed al-Sharaa, meglio noto come Abu Mohammed al-Jolani, quando una folla di cristiani ha sfilato per i quartieri di Bab Shakri e Bab Touma, di Damasco per protestare contro l’incendio di un albero di Natale a Suqaylabiyah, vicino ad Hama. Ad appiccare il fuoco un gruppo di giovani a volto coperto che, secondo alcune ricostruzioni, sarebbero stranieri. Il video del rogo, compiuto martedì, a 48 ore da Natale, è rimbalzato sui social suscitando l’indignazione della minoranza. Non è l’atto vandalico in sé a preoccupare. Quando il dubbio che sia un segnale di una nuova era di persecuzioni da parte dei ribelli jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), al potere dalla fuga di Bashar al-Assad, l’8 dicembre. Con alauiti e filo-Assad in fermento – ci sono stati scontri a Homs e Tartus –, però, Jolani non vuole aprire un nuovo fronte con i cristiani. Sa che per governare la Siria stremata da tredici anni di guerra, ha necessità della collaborazione delle varie componenti sociali.
«Per questo è stato importante che abbia mantenuto la promessa. Il giorno dopo è stato piazzato un nuovo albero ed è stato ag-giunto il presepe», racconta Hanna Jallouf, vescovo latino di Aleppo dal primo luglio 2023. Prima, il religioso francescano è stato per oltre vent’anni parroco di Knaya, nella provincia di Idlib, roccaforte, fin dall’inizio della guerra, dell’opposizione armata jihadista. Nel villaggio – uno dei tre dove ancora restano cristiani –, monsignor Jallouf ha sofferto le persecuzioni del Daesh, poi di al-Nusra. Quest’ultimo gruppo, guidato sempre da Jolani, nel 2014, lo ha sequestrato per dieci giorni insieme a 17 parrocchiani di cui gli islamisti pretendevano l’abiura. Dopo la trasformazione in Hts, nel 2017, e l’instaurazione di un governo a Idlib, «le cose hanno cominciato, piano piano a migliorare», spiega il vescovo. «Ci sono state le prime aperture. Nel giugno 2022, poi, abbiamo avuto un incontro con Jolani il quale si è scusato per la requisizione delle proprietà della Chiesa e delle case ai fedeli. Ha detto che avreb-be rimesso a posto le cose. E, in effetti, due giorni dopo, mi ha inviato quattro collaboratori per avviare le restituzioni, a partire dalle vedove. Da quel momento, quaranta famiglie cristiane fuggite negli anni più duri, sono tornate nella provincia. Quando sono stato nominato vescovo, inoltre, mi ha organizzato una festa. Mi ha salutato di persona, nell’occasione, mi ha detto con forza che avrebbe difeso i cristiani. Poi ha mandato i suoi miliziani ad accompagnarmi fino al confine tra Idlib e Aleppo». Monsignor Jallouf ha è convinto che il leader onorerà l’impegno. «Dalla caduta di Assad abbiamo incontrato due volte i rappresentanti di Hts e ci hanno confermato il rispetto della libertà di fede». I primi segnali sono positivi: il governo ha confermato il Natale come giorno festivo e le celebrazioni hanno avuto luogo come di consueto. Ad Aleppo sono state solo anticipate al pomeriggio per questioni di sicurezza. La polizia, comunque, è stata inviata in forze per proteggere le chiese. Anche i musulmani hanno partecipato all’allestimento degli altari e, a Suqaylabiyah, hanno aiutato a sostituire l’albero di Natale bruciato. Da Maalula, però, sono arrivate notizie di incidenti. Il punto cruciale è la capacità di Hts di contenere le componenti più radicali, ancora tutta da dimostrare. Un primo passo è il disarmo delle milizie poste sotto il comando dell’esercito della Difesa. L’accordo c’è ma ci vorrà tempo. Monsignor Jallouf, però, è ottimista. E per segnare un nuovo inizio, ha deciso di celebrare il Capodanno, giornata della pace, a Knaya, emblema di resistenza nonoviolenza all’odio del conflitto