Avvenire, 27 dicembre 2024
Anche Rebibbia è una Basilica
La speranza nel luogo che forse più di ogni altro ha il potere di ridurla ai minimi termini. Eppure per papa Francesco il carcere di Rebibbia è «una basilica» e lo ha detto chiaramente ai giornalisti che al termine della visita in cui ha aperto la prima Porta Santa del Giubileo 2025 dopo quella di San Pietro gli hanno chiesto il senso del suo gesto. «Ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui, in un carcere. Ho voluto che ognuno di noi, che siamo qui dentro e fuori, avessimo la possibilità di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude (Le altre tre Porte Sante -San Giovanni in Laterano il 29 dicembre, Santa Maria Maggiore il 1° e San Paolo fuori le Mura il 5 gennaio – saranno aperte dai rispettivi cardinali arcipreti).
Un momento di straordinaria intensità, quello vissuto ieri mattina nella chiesa del Padre Nostro all’interno della casa circondariale romana, dove papa Bergoglio è tornato per la terza volta dopo le precedenti visite del 2015 e del marzo di quest’anno (quindici in tutto le sue visite in carcere dall’inizio del Pontificato). Ma soprattutto questa è stata la dimostrazione che c’è speranza per tutti. Anche per chi è costretto in un ambiente che deprime (88 i suicidi in carcere in Italia nel 2024) ed è sovraffollato (secondo un rapporto di Antigone il 170 per cento dei posti disponibili).
Francesco ha bussato tre volte ai battenti e la porta si è aperta. Quindi ha varcato la Porta Santa questa volta in piedi. Accanto a lui il vescovo ausiliare di Roma Benoni Ambarus. Successivamente, a mezzogiorno, Francesco si è affacciato alla finestra del Palazzo Apostolico per l’Angelus e ha ricordato l’esperienza vissuta poche ore prima tra i detenuti. E prima della preghiera mariana ha ricordato Santo Stefano, sottolineando che anche oggi sono molti i perseguitati per la loro fede.
Nell’omelia della Messa nella cappella del carcere il Pontefice ha voluto sottolineare soprattutto la speranza che non delude. «È un bel gesto quello di aprire le porte – ha detto il Pontefice -. Ma più importante è quello che significa. E cioè aprire il cuore. Questo fa la fratellanza. I cuori chiusi, duri, non aiutano a vivere. Per questo la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire. E soprattutto aprire i cuori alla speranza. La speranza non delude mai. Perché nei momenti brutti uno pensa che tutto è finito, che non si risolve niente, ma la speranza non delude mai». Al Papa piace pensare la speranza «come l’ancora che è sulla riva e noi con la corda stiamo lì – ha detto -, sicuri perché la speranza è come l’ancora sulla terra. Non perdere la speranza, questo è il messaggio che voglio darvi. A tutti – ha incoraggiato ancora Francesco -. A volte la corda è difficile e ci fa male alle mani, ma sempre con la corda in mano, guardando la riva, con l’ancora che ci porta avanti. Sempre c’è qualcosa di buono. Quindi la mano alla corda e le finestre spalancate, le porte spalancate. Soprattutto le porte del cuore. Quando il cuore è chiuso, diventa duro, una pietra, si dimentica della tenerezza. Anche nelle situazioni più difficili sempre il cuore aperto, il cuore che ci fa fratelli. Spalancate le porte del cuore. Ognuno sa fa come farlo. E sa dove la porta è chiusa, semichiusa. Vi auguro un grande Giubileo – ha concluso il Pontefice -, vi auguro molta pace. E oggi giorno prego per voi. Davvero. Non è un modo di dire. Penso a voi e prego per voi. E voi pregate per me».
A Rebibbia erano presenti il ministro della Giustizia, Carlo Nordio (con il quale non si è però parlato di un provvedimento di clemenza per il Giubileo), circa trecento detenuti (e altrettante persone all’esterno), il personale della polizia penitenziaria, i cappellani della casa circondariale e l’arcivescovo Rino Fisichella, pro prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione, cui è demandata l’organizzazione del Giubileo. Presente anche il capo del Dap Giovanni Russo, oltre ad Alessandro Diddi, pg del tribunale vaticano, e il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero della Cultura. Il Papa ha salutato a uno a uno i presenti e ricevuto diversi dono dai detenuti. All’uscita, incontrando i giornalisti, ha detto che «il carcere è diventato una basilica tra virgolette» e ha ricordato che spesso i pesci grossi ne rimangono fuori. «Dobbiamo accompagnare i detenuti e Gesù dice che il giorno del giudizio saremo giudicati su questo: “Ero in carcere e mi hai visitato”».
La mattinata del Pontefice si è conclusa con l’Angelus. «Incoraggio pertanto tutti a sostenere la campagna di Caritas Internationalis intitolata per sollevare i Paesi oppressi da debiti insostenibili e promuovere lo sviluppo. La questione del debito – ha sottolineato papa Francesco – è legata a quella della pace e del mercato nero degli armamenti. Basta colonizzare i popoli con le armi. Lavoriamo per il disarmo, lavoriamo contro la fame, contro le malattie, contro il lavoro minorile. Preghiamo per la pace nel mondo intero»