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 2024  dicembre 27 Venerdì calendario

Roberto Rossetti parla del var

«Ogni tanto mi torna in mente lo sguardo di chi ascoltava, per la prima volta, parlare di Var… sguardi un bel po’ stralunati, ma il futuro per me era già scritto». Roberto Rosetti, oggi, è a capo della divisione arbitrale della Uefa con il compito di crescere e scegliere gli arbitri per le coppe e per le fatiche delle nazionali. Ma l’ex fischietto torinese è stato il più vicino di tutti ai passaggi che hanno aperto il calcio alla tecnologia come mai accaduto.
Di chi erano quelli sguardi un po’ così?
«Erano dei direttori di gara italiani: io ero stato nominato responsabile del progetto Var per il nostro campionato e il nostro campionato stava bruciando le tappe per dare il via libera, in chiaro, alla grande rivoluzione con una stagione di anticipo. Poi grazie a loro il primo anno di Var in Italia è stato straordinario».
Var sì, Var no. Var e basta…
«Spegnere la Var è impensabile».
Eppure…
«Immaginiamoci cosa sarebbe il calcio se cancellassimo tutto quello che è stato fatto negli ultimi anni. Il caos».
Var sì, Var no, Var e basta e, forse, a chiamata.
«Il gioco del calcio è sacro, fluidità, ritmo, vive di dinamiche e imprevedibilità, di interpretazioni soggettive delle regole. Nelle Competizioni europee abbiamo un intervento Var ogni tre partite, ogni possibile situazione arbitrale viene analizzata (quest’anno in 660 partite con il Var, 3020 check, 214 interventi Var). Vi faccio una domanda: se agli allenatori o ai capitani venisse concessa la possibilità di chiamare l’intervento Var due volte a partita, siamo sicuri che la fluidità del gioco stesso non verrebbe intaccata? E se ci fosse un errore evidente a challenge terminati?».
Tradotto: se ne potrebbe fare un uso “tattico”. Giusto?
«Potrebbe accadere, per spezzare l’inerzia di una gara e il ritmo dell’avversario o altro. Potrebbe generare più equivoci che chiarezza».
Meglio, quindi, non andare oltre?
«Le regole le modifica l’Ifab, il vero guardiano delle regole del gioco, io mi limito ad una riflessione».
Immaginiamo condivisa dai più…
«L’eventuale novità, tra l’altro, modificherebbe l’utilizzo del Var così come lo conosciamo: palla agli allenatori o capitani o palla alla chiamata così come da protocollo attuale. Tutte e due insieme non sarebbe attuabile, stravolgerebbe il calcio».
Cosa pensa del tempo effettivo?
«Su questo aspetto credo che siamo lontani da una possibile introduzione: il tempo effettivo non si sposa con i tempi del calcio».
Ai Mondiali in Qatar le sfide duravano anche dieci, quindici minuti, e più, oltre il 90’.
«Siamo soddisfatti della media nelle Competizioni UEFA, quasi 60 minuti in Champions, sono anni che lavoriamo sulla velocizzazione delle riprese di gioco. Arbitri proattivi, meno pause, più ritmo ed emozioni».
Il capitano, e solo il capitano, può chiedere spiegazioni all’arbitro: che voto dà alla novità introdotta con gli Europei dello scorso giugno?
«Alto, altissimo, progetto semplice ma cruciale per l’immagine del calcio che ha valore educativo fondamentale per le future generazioni di calciatori e arbitri. E siamo solo all’inizio. Non se ne può più del mobbing agli arbitri».
Se le chiedessi cosa è per lei la Var avendone conosciuto ogni angolatura fin dal primo giorno?
«Per me la Var è Argentina-Messico, ottavi di finale del Mondiale 2010. Tevez segna la rete dell’1-0 in fuorigioco, tutto il mondo può rivedere quello che io, arbitro della partita, non posso…».
Un errore?
«Un errore. Tornai a casa, credo che la finale di quel Mondiale sarebbe toccata a me…».
Un errore, d’accordo. Cambiamo prospettiva: la sua gara perfetta?
«Europei del 2008, Germania-Spagna: si gioca la finale, nessuno ha parlato dell’arbitro…».
A premiarla fu Angela Merkel, Cancelliere della Germania. Le immagini tv si soffermarono sul vostro, non breve, colloquio: cosa le disse?
«Non ricordo… fu molto gentile».
Torniamo al campo. Quale aspetto del suo lavoro la tiene più occupata?
«Lavoriamo in modo ossessivo per garantire l’uniformità dell’applicazione delle regole. Abbiamo idee e strategie. E i risultati sono ottimi nonostante la provenienza da ogni nazione europea dei singoli arbitri: la competenza della mia squadra, i seminari e l’accademia arbitrale della Uefa sono la chiave».
È vero che in Italia si danno rigori che in campo internazionale non si fischiano?
«Posso solo dire che per noi il rigore è qualcosa di serio: che comporta una chiara azione fallosa commessa dal difensore».
Torniamo ancora al tempo effettivo: la serie A è distante dalla Champions, il messaggio più letto.
«Non è così: basta guardare gli ultimi dati. La Serie A si è avvicinata alla media della Champions negli ultimi anni. Gianluca Rocchi lavora nella nostra direzione, il confronto è continuo...».
Quali qualità deve avere un “suo” arbitro?
«Un atleta al top che decide, sempre, in campo, con grande personalità, conoscenza totale del calcio: la Var non si aspetta, è solo un aiuto».
Quanti sono gli arbitri decisionisti e di personalità?
«Ci sono. E non solo i senatori: stanno crescendo giovani all’altezza».
Orsato ha smesso.
«Orsato è una leggenda del nostro mondo».
Lei è di Torino. E Torino ha sempre avuto una grande tradizione di fischietti. Cosa accade sotto la Mole?
«La scuola di chi ci ha preceduto si sente, pesa, ti trasmette senso di appartenenza. Nessun segreto».
Qualche nome?
«Antonio Trono e un Giudice, Maurizio Laudi, i miei maestri».
Var si, Var no, Var e basta. E la Var “leggera” di cosa si tratta?
«Un monitor a bordo campo con due tecnici: si chiama leggera proprio per questo. Abbatte i costi ed è facilmente attuabile dal punto di vista degli strumenti: la sperimentazione è in corso, aiuterà i paesi con meno risorse. Il Var è un’altra cosa».
Gli sguardi un po’ così degli arbitri di serie A sono spariti.
«Ma certo. Hanno fatto in fretta. Non ho mai capito, e non capirò mai, chi parla di direttori di gara contrari al Var. Favole».
Lei ha seguito il progetto per l’introduzione della moviola in campo in Italia. Ricorda i primi passi informali della grande rivoluzione?
«Sì».
Dove?
«Un seminario in Olanda nel marzo del 2014, eravamo pochi. Per l’Italia il presidente Tavecchio e Michele Uva ci credettero da subito…».
L’ultima parola è la più dolorosa: la violenza sugli arbitri.
«Una piaga. A livello Uefa stiamo facendo un grande lavoro sul tema (la UEFA Refereeing Campaign) e qualcosa sta cambiando perché, alla fine, prevale la passione di chi vuole entrare in un mondo di regole. Una cosa deve essere chiara: servono pene certe, chi tocca gli arbitri non dovrebbe entrare mai più in uno stadio. La vera svolta? L’arbitro dovrebbe dirigere da pubblico ufficiale per tutta la durata della gara»