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 2024  dicembre 27 Venerdì calendario

La seconda stagione di Squid Game

Squid Game adesso fa davvero sul serio. Dopo aver conquistato il mondo con una prima stagione dal forte impatto visivo e un’idea tanto semplice quanto efficace, la serie Netflix non in lingua inglese più vista di sempre diventa molto politica. Scritta da Hwang Dong-hyuk in un momento di crisi personale, in cui era in difficoltà economiche, è una critica alla società coreana, caratterizzata dalla forte disparità sociale. Squid Game 2 prende di petto questa idea, mostrando come il vero villain della storia sia il capitalismo. «Non si tratta di vendetta personale – spiega l’autore –: Gi-hun ha un progetto più grande. Vuole fermare le persone che hanno creato i giochi e interrompere quel sistema, che è una metafora della società capitalista. È da lì che arriva il suo desiderio di giustizia».Bissare il successo planetario della prima stagione è un’impresa titanica, forse impossibile, anche perché viene meno l’effetto sorpresa scioccante dei giochi per bambini che si trasformano in spietate trappole mortali, senza contare che ora sappiamo cosa c’è dietro la folle gara tra poveri. Lo scopriremo presto: la serie è in streaming su Netflix da ieri con sette nuovi episodi. In Squid Game 2 il protagonista, Seong Gi-hun, ovvero numero 456, interpretato da Lee Jung-jae, tre anni dopo aver vinto il gioco vuole usare i soldi ottenuti per farla pagare a chi l’ha creato. E per riuscirci deve tornare a partecipare: i concorrenti sono ancora dei disperati (stavolta c’è anche chi ha perso tutto a causa di criptovalute e investimenti sbagliati), ma le prove sono diverse.L’attore sottolinea un punto fondamentale di questa stagione: «Sarà molto divertente per gli spettatori seguire il tentativo di vendetta di Gi-hun, a prescindere se avrà successo o no, e capire perché abbia preso questa decisione. Uno dei temi centrali è il fatto che la violenza psicologica sia anche peggiore di quella fisica. È per questo che usiamo semplici giochi per bambini: dovrebbero essere divertenti e infantili, invece vengono trasformati in una mattanza, che i Vip si godono dall’alto. Questa forma di sadismo è terribile: penso che anche gli spettatori al suo posto proverebbero la stessa sete di giustizia del mio personaggio».D’accordo il collega Wi Ha-jun, che ha il ruolo del poliziotto Hwang Jun-ho: suo fratello è coinvolto nel gioco e si sente responsabile per quanto accaduto ai concorrenti: «Le persone che hanno creato i giochi sono sicuramente malvagie, perché mettono a rischio la vita degli altri per il proprio divertimento. Sfruttano la loro debolezza per terrorizzarle: e questo è davvero un grande crimine. Sono mostri. È per questo che Jun-ho ha questo grande senso di colpa e responsabilità, che lo rendono determinato a fermarli».Il fratello del poliziotto è infatti Front Man, il capo della sicurezza dei giochi, interpretato da Lee Byung-hun, uno dei più celebri e amati attori coreani, reso una star da Park Chan-wook con il film Joint Security Area. In Squid Game 2 si toglie la maschera e dà un’interpretazione memorabile: è un servo del potere che trae beneficio nel mantenere in piedi un sistema basato sulla sofferenza di molti per il privilegio di pochi, in questo caso i Vip, che pagano per veder morire delle persone. Per Hwang Dong-hyuk questi personaggi sono male puro: «Li ho creati immaginandoli come le persone al livello più alto della società capitalista. Leader politici, individui che possiedono la maggior parte della ricchezza. Sono quelli che mantengono e controllano il sistema, che fanno la loro fortuna grazie al lavoro e al dolore di quelli che sono ai livelli più bassi della piramide. Non dico che si divertano a guardare le persone che soffrono, ma certamente non se ne preoccupano. Perché credono sinceramente di vivere in un mercato libero, in cui le persone sono pagate per il loro valore, quindi non si sentono responsabili della loro sofferenza».Dire tutto questo con dei tradizionali giochi per bambini rende il concetto più accessibile: «Grazie a questi giochi i piccoli imparano a collaborare, essere combattivi o si fortificano. Quelli della serie invece, a partire dalle regole, sono una metafora, un’allegoria di ciò che succede davvero in una società molto competitiva. Quelli che perdono la gara sono destinati alla povertà, alle malattie. I perdenti muoiono. Spero che gli spettatori lo percepiscano»