La Stampa, 27 dicembre 2024
A Betlemme nel deserto del Natale "I cristiani stanno scappando tutti"
La piazza della mangiatoia è un enorme parcheggio a cielo aperto. Niente albero, niente presepe, niente luci. Per il secondo anno consecutivo, la città del Natale, Betlemme, fa a meno del Natale. Almeno, dal punto di vista pubblico. L’aspetto religioso resta. La resilienza della comunità cristiana, ridotta ai minimi termini, mantiene la tradizione.A Betlemme il Natale è altrove. Il patriarca di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, ha comunque effettuato il suo ingresso solenne come di consueto per le celebrazioni natalizie. Quest’anno, a differenza degli altri, ha tenuto un discorso sulla piazza della mangiatoia, dove ha voluto ricordare le difficoltà del momento, il secondo Natale triste a causa della guerra. Ma ha sottolineato che la gente non deve avere paura, che non deve permettere ad altri di rubare la propria vita, ricordando la sua recente sua visita a Gaza, portando ai cristiani di Betlemme la loro gratitudine e la loro gioia, nonostante vivano in guerra. Pizzaballa ha ricordato che il Natale è la luce di Gesù che viene nel mondo e i cristiani devono diffonderla intorno.Una luce che non si vede in città. «Fratello mio, me ne sono dovuto andare, come facevo a sfamare la mia famiglia?». Shadi è uno degli artigiani più conosciuti in città. La sua famiglia cristiana, da generazioni, si occupa della realizzazione di oggetti religiosi in legno d’olivo. «Da quando è iniziata la guerra – spiega – non abbiamo visto un solo turista nel nostro negozio. Anche l’albergo che avevamo aperto con tanti sacrifici è chiuso. Abbiamo dovuto mettere per strada le famiglie dei nostri impiegati del negozio e dell’albergo, passando loro un piccolo contributo mensile. Qui non abbiamo lo Stato che ci passa la disoccupazione, che credi. Io sono partito per gli Usa, vendo qui i miei oggetti, almeno riusciamo a campare qualche mese, sperando che tutto finisca».L’emigrazione di Shadi, seppur momentanea, non è un caso. I cristiani in Terra Santa stanno sensibilmente diminuendo. Nelle tre città dell’area (Betlemme, Beit Jalla e Beit Sahour) sono rimasti solo 33.000 cristiani. A Betlemme, solo 1 residente su 5 è cristiano, un netto calo da quando la città è stata posta sotto il controllo dell’Autorità Palestinese nel 1995, quando l’80% della città era identificato come cristiano.Comunità che si sente emarginata non solo dall’occupazione israeliana ma anche dai musulmani, in maggioranza nei Territori. «Molti giovani – spiega George Hannueh – non amano più la vita qui e cercano di andarsene, in Europa o negli Stati Uniti, per motivi economici e lavorativi. Inoltre tra i cristiani, a differenza delle altre comunità religiose, il tasso di natalità è molto basso». Tra il 1922 e il 2017, secondo un censimento dell’Autorità Palestinese, la popolazione cristiana palestinese è scesa da 70.000 a 47.000.A causa della guerra, il turismo della città, che un tempo alimentava il 70% della sua economia, è crollato, con l’occupazione degli hotel scesa al 3% e il numero di visitatori precipitato da 2 milioni nel 2019 a meno di 100.000 nel 2024. Il tasso di disoccupazione di Betlemme ha superato il 50%. Circa 85.000 persone non percepiscono alcun salario.«Apro solo perché non saprei che fare a casa – dice Rafiq che ha un negozio di souvenir cristiani sulla strada che porta alla Grotta del latte -, lì impazzirei. Su questa strada siamo rimasti in pochi, ci guardiamo sconsolati». La stradina costeggia a destra la piazza della mangiatoia e ospita diversi laboratori dove si realizzano statue e presepi, oltre a oggetti in legno d’olivo, la specialità artigianale di Betlemme. Il rumore dei torni, delle frese, dei trapani erano la colonna sonora di questo percorso. Oggi c’è un silenzio spettrale.Così come nella Basilica della Natività e nell’attigua chiesa francescana di Santa Caterina. Le lunghe file che partivano dall’esterno del luogo della santa nascita, sono un ricordo. I due poliziotti che facevano fatica a tenere la folla a regime, sono desolatamente seduti sorseggiando un caff