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 2024  dicembre 27 Venerdì calendario

I vent’anni di Baby 81 il bimbo disperso simbolo dello tsunami

Lo hanno sempre chiamato “Baby 81”: perché era l’ottantunesimo bebè senza identità andato disperso e poi ricoverato in ospedale, dopo lo tsunami che il 26 dicembre 2004 devastò l’Oceano Indiano. A differenza di molti altri, la sua è una storia a lieto fine: ha riavuto il proprio nome anagrafico, ha ritrovato i genitori e si è da poco iscritto all’università. E ieri il mondo lo ha ricordato perché è diventato il simbolo del terremoto e del maremoto che fecero tremare il mondo: anche perché hanno la stessa età. Vent’anni, quanti ne sono passati da uno dei peggiori cataclismi della storia.Aveva appena due mesi, quando fu trasportato dall’onda anomala sulla costa dello Sri Lanka, separato dalla famiglia ma miracolosamente vivo. Portato dai soccorritori in ospedale, gli fu legata un’etichetta a una caviglia con la scritta “numero 81”, l’ottantunesimo bambino salvato dai flutti ma almeno temporaneamente senza nome. Un nome ce l’aveva, naturalmente: Jayarasa Abilash. E anche un padre e una madre, che passarono tre giorni a cercarlo invano dappertutto. Quando lo trovarono, tuttavia, altre nove coppiedi genitori erano convinte che quel neonato fosse il loro figlioletto. I medici rifiutarono di consegnare a chiunque “Baby 81”, come era stato soprannominato, fino a quando non fosse stata prodotta una prova certa della sua identità. I test con il Dna erano ancora nella fase iniziale in Sri Lanka. Le famiglie si rivolsero alla polizia. La vicenda finì in tribunale. E solo quando il padre e la madre di Jayarasa riuscirono a dimostrare con il Dna che quello era il loro bambino, “Baby 81” tornò alla propria famiglia. Da allora, l’etichetta gli è rimasta appiccicata addosso, non sempre piacevolmente: anche a scuola i compagni di classe lo chiamavano così. Ma adesso Jayarasa ha vent’anni e, superati gli esami di maturità, si è iscritto all’università per studiare informatica.Il 26 dicembre del 2004 la tragedia cominciò alle 7.58 del mattino ora locale, con una scossa di terremoto di 9,1 gradi nell’Oceano Indiano, la terza più violenta da quandoesistono i sismografi, e proseguì con un terrificante maremoto, onde alte fino a 50 metri, andate a infrangersi lungo le coste di oltre mezza dozzina di Paesi. Morirono 230 mila persone, tra le quali 54 italiani.L’epicentro del sisma era 160 km al largo dell’isola indonesiana di Sumatra. Durò otto minuti, sprigionando un’energia superiore alla potenza complessiva delle due bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Fu avvertito in tutta l’Indonesia ma pure in Bangladesh, India, Malesia, Birmania, Singapore, Thailandia, fino alle Maldive. Poi arrivò una serie di grandi onde anomale che colpirono le coste dell’Oceano Indiano sotto forma di immensi maremoti, sommergendole con rapidità impressionante. Al tragico bilancio finale contribuì il mancato avvertimento dell’onda mortale, in particolare in India e nello Sri Lanka: sarebbe bastato uno spostamento di cinquecento metri verso l’interno per non rimanere vittime dello tsunami. Neanche “Baby 81” e i suoi genitori riuscirono a mettersi in salvo, ma sono sopravvissuti. Oggi quel bambino può dire di chiamarsi Jayarasa Abilash ed è uno studente di vent’anni: lo stesso tempo trascorso dall’evento che sconvolse l’Oceano.