la Repubblica, 27 dicembre 2024
Tra i soccorritori del Gran Sasso
L’ultima speranza è che Luca e Cristian abbiano trovato un riparo, un anfratto, uno stazzo abbandonato magari, ce ne sono ancora lassù a 2.200 metri di altezza, sull’altipiano di Campo Imperatore che Fosco Maraini definì il “piccolo Tibet d’Abruzzo”. Perché, invece, a cinque giorni dall’appello lanciato dai due amici alpinisti Luca Perazzini e Cristian Gualdi, escursionisti esperti e innamorati della montagna e precipitati forse nel Vallone dell’Inferno, la neve sembra aver inghiottito ogni traccia del loro passaggio. Missing, scomparsi nel “bianco assoluto”, condizione estrema nella quale terra, nebbia e neve diventano dello stesso colore e dentro quella cortina candida si perde il senso dell’orientamento.Fino a ieri le squadre dei volontari del soccorso alpino e della Guardia di finanza avevano cercato i due amici di Santarcangelo di Romagna, arrivati a Campo Imperatore per un’escursione domenica 22 dicembre proprio in quell’area così impervia e inaccessibile da essere definita “infernale”.Invece, dopo giorni di tentativi disperati di avvicinarsi a quella gola nascosta, con i soccorsi e gli elicotteri bloccati dalle bufere di neve, quattro finanzieri delle Fiamme gialle sono riusciti finalmente ad arrivare, con gli sci, nel punto esatto dal quale Luca e Cristian avevano chiesto aiuto. Ma in quel punto del Vallone ieri c’era soltanto una enorme discesa di roccia e neve e il silenzio della montagna.Delusione, sgomento. Dove sono finiti allora Luca e Cristian? Si sono allontanati per cercare un riparo, il famoso stazzo che come dicono quassù potrebbe far accadere un tardivo miracolo di Natale?Eppure ieri la speranza era il sole che per qualche ora ha mitigato il freddo e sciolto la neve ai bordi delle strade, fino ai piedi delle piste da sci di Campo Imperatore, cuore del Gran Sasso e del turismo invernale abruzzese. In quota però la temperatura la notte scendea meno sedici gradi, soprattutto se infuria il vento e dopo cinque giorni il tenace ottimismo dei soccorritori sembra incrinarsi un po’. «Sarà come andare a cercare delle persone dentro una valanga», ha ammesso il comandante del soccorso alpino della Guarda di finanza dell’Aquila, Paolo Passalacqua.E il finanziere Marco Moreschini: «La speranza è l’ultima a morire. Magari hanno trovato riparo in qualche anfratto». Chissà. Cinque giorni sono spaventosamente tanti a quelle temperature, oltre duemila metri di altezza, lo sanno tutti qui, in questo Santo Stefano triste, con gli sguardi rivolti alle cime delle montagne, doveva essere una festa, l’inizio della stagione sciistica, finalmente tanta neve, si è trasformato in un’attesa, in una veglia sospesa. Anche l’elicottero che avrebbe dovuto sorvolare l’area per la prima volta non è decollato. La bufera soffiava troppo forte.Forse oggi, se davvero il tempo migliorerà ci sarà un secondo tentativo, anche con l’ausilio, dicono i volontari del soccorso alpino di un «dispositivo Sonar Recco già utilizzato nel febbraio 2021 sul Monte Velino per la ricerca di ungruppo di escursionisti dispersi sotto a una valanga».È un diario fatto di cinque lunghissimi giorni e notti da quando Luca e Cristian con i loro cellulari adesso ormai muti avevano disperatamente chiesto aiuto. «Ma noi li riporteremo a casa comunque perché questa è la nostra missione», dice con decisione Alessandro Marrucci, capostazione del soccorso alpino speleologico della stazione dell’Aquila, dosando le parole con tutta la pietas possibile.Luca e Cristian torneranno, vivi si spera, ma il senso è che dallamontagna si scende, si torna a valle, in ogni caso. Alessandro Marrucci è stato uno dei primi volontari a salire con la funivia dalla base di Fonte Cerreto alle piste di Campo Imperatore, dopo l’allerta del 118 alle 15,20 di domenica 22 dicembre, ed è uno dei soccorritori rimasto intrappolato dalla tempesta di neve nel rifugio “Lo Zio” fino al giorno di Natale. Notti senza sonno, giorni di impegno senza riposo.«Siamo riusciti a scendere dalle cime il 25 dicembre a mezzogiorno, quando finalmente la funivia è tornata in funzione, in tempo per il pranzo con le nostre famiglie, ma avremmo voluto che con noi a Natale ci fossero anche Christian e Luca. Ho partecipato a decine di missioni di soccorso, quando il salvataggio è impossibile è sempre un dolore, per questo noi torniamo su, anche in condizioni impervie, bisogna sempre tentare, ancora, tenere teso il filo della speranza».E così hanno fatto gli otto soccorritori che bloccati nel rifugio su quelle alture nelle quali fu tenuto prigioniero Mussolini, hanno tentato più volte di avvicinarsi al Vallone dell’Inferno. «La nostra ricostruzione è che Luca Perazzini e Cristian Gualdi siano stati sorpresi dal maltempo e abbiano deciso di interrompere l’escursione. L’incidente deve essere avvenuto sulla via del ritorno, a circa quattro chilometri dalla funivia, si tratta di due alpinisti esperti, conoscevano l’itinerario. Alle 16,20, un’ora dopo l’allerta con la mia squadra eravamo già a Campo Imperatore e intorno alle 17 avevamo individuato, probabilmente, l’area della caduta, il canalone in cui sono scivolati. Venti fortissimi e visibilità zero non ci hanno mai permesso di raggiungerli».Ma i tentativi sono continuati, perché, come dice Marrucci, la parola d’ordine, è «riportiamoli a casa». Mentre arriva il buio una piccola folla si raduna ai piedi della funivia con gli sguardi rivolti in alto, verso le cime che al tramonto diventano rosa. Qualcuno prega. «A una temperatura di meno sedici gradi come si fa a sopravvivere?», chiede scuotendo la testa il titolare di uno degli alberghi ai piedi delle piste. Lo stazzo di un pastore, una cavità riparata. Forse. Le famiglie che speravano in un weekend di neve e festa tornano a casa, qualche bambino fa l’ultima scivolata con lo slittino. Dove sono allora Luca e Cristian?