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 2024  dicembre 27 Venerdì calendario

Vivere sull’isola di Sant’Elena

Per tutti quelli che hanno studiato un po’ di storia, Sant’Elena è «l’isola di Napoleone», lo «scoglio» sperduto nell’Atlantico dove gli inglesi lo spedirono dopo averlo sconfitto nel 1814 nella battaglia di Waterloo. Ma per poco meno di 4 mila anime è casa. A quasi 3000 km dalla costa della Namibia africana e a quasi 4000 da quelle del Brasile, Sant’Elena è uno dei luoghi più remoti del pianeta. Le due isole più vicine – Ascension (dove c’è una base della Raf e dell’Air Force americana) e Tristan de Cunha – si trovano a due ore di aereo, la prima verso nord-ovest, la seconda a sud. La sola compagnia che ci atterra è la sudafricana Airlink, che la collega una o due volte la settimana (a seconda della stagione) a Johannesburg e a Cape Town, con quattro ore e mezza di volo. Ma questo vale dal 2017. Da quando, cioè, sull’isola di Napoleone è stato aperto l’aeroporto. Prima, infatti, sul continente si poteva andare solo una volta alla settimana in nave, con un viaggio di cinque giorni fino a Cape Town, o con una traversata di due settimane se si voleva raggiungere il Regno Unito (Sant’Elena è un territorio d’Oltremare della Corona inglese).
Sull’isola si parla inglese e la moneta è la sterlina di Sant’Elena, ma è accettata anche la sterlina britannica. Ci sono solo due sportelli bancari, nessun bancomat e i negozi che accettano le carte di credito sono pochissimi. Il telefono è arrivato sull’isola nel 1898, ma solo nel secondo dopoguerra del Novecento è diventato disponibile a tutti. La televisione nel 1994, internet nel 2013 e la fibra (grazie a un cavo sottomarino) nel 2017.
È uno dei luoghi più esotici al mondo nonostante la capitale Jamestown, che conta appena 250 abitanti, sembri un paesino del Galles, pub compresi. Qui, in uno spazio di 20 km per 12 (tanto è lunga e larga l’isola), c’è tutto o quasi quello che la natura può offrire. Ci sono distese aride con cactus in cui sembra di stare nella Bassa California del Messico, foreste subtropicali che paiono le Seychelles, vallate vulcaniche aridissime ma punteggiate di palme che ricordano certi luoghi delle Canarie, vallate verdissime disseminate di bassi cespugli e pecore come nelle Highlands scozzesi. Insomma, il mondo in un fazzoletto.
Ci cresce di tutto, a Sant’Elena: banane, papaya e mango, frutta e verdure europee e caffè, che è il secondo più costoso al mondo, dopo una varietà coltivata in Giappone. Per averlo all’estero dai tre produttori locali si pagano più di 120 euro al chilo (oltre ai costi di spedizione). E nel mondo lo si può degustare solo in una caffetteria di Mayfair, quartiere per ricconi di Londra, dove una tazza servita al tavolo costa 32 sterline, più di 40 euro. Roba da intenditori (ricchi).
Nel giardino della casa del governatore (in parte aperta al pubblico) pascola la più vecchia creatura animale vivente al mondo: si chiama Jonathan, è una tartaruga maschio. Quando è arrivato dalle Seychelles nel 1882 aveva suppergiù 50 anni. Ora gliene attribuiscono 192. Per la sua età si muove parecchio, si accoppia ancora con l’unica femmina che ha accanto (molto più giovane di lui, ovviamente), ma i due non hanno avuto figli.
Tappa obbligata è Longwood House, che fu la residenza di Napoleone Bonaparte dal 1815 al 1821 e il luogo in cui morì (rimase poi sepolto sull’isola per 19 anni, prima che gli inglesi concedessero ai francesi di portarne la salma in Francia, dove oggi si trova a Les Invalides a Parigi).
L’artefice della casa-museo è il console onorario francese Michel Dancoisne-Martineau, che ci lavora dal 1985. La residenza si può visitare quasi tutta, compresa la stanza in cui Napoleone morì il 5 maggio 1821. Gli arredi (ma non il letto di morte dell’imperatore) sono quasi tutti originali, Michel li ha ritrovati in giro tra le famiglie dell’isola studiando i registri dell’asta del 1822, in cui i beni di Napoleone furono venduti dal governo inglese dell’isola. Un lavoro durato 40 anni e non ancora terminato.
Se poi, oltre che di natura e storia, siete appassionati di sport, Sant’Elena è il vostro paradiso. Si possono vedere lo squalo balena e i delfini facendo immersioni o anche solo snorkelling, fare escursioni sulle dozzine di chilometri di sentieri, anche estremi, che corrono attraverso l’isola. Andare in bici, magari con pedalata assistita, lungo i 115 chilometri di stradine asfaltate, oppure off road.
E ancora, mettere a dura prova gambe e polmoni lungo la Jacobs Stairway, una scalinata con una pendenza del 60% che sale 200 metri di dislivello con 699 gradini. Il record mondiale di salita è al di sotto dei 5 minuti, la gente “normale” la fa nel triplo del tempo. Originariamente la scalinata non era un’attrazione turistica, ma una rampa lungo cui scorrevano dei cavi con delle piattaforme per trasportare le merci da e per Jamestown, che si trova in fondo a una profonda vallata. Una sorta di funicolare che funzionava con il traino degli asini.
Nonostante l’avvento del trasporto aereo, l’isola non ha ancora un’infrastruttura ricettiva sviluppata. Nella capitale ci sono una mezza dozzina di ristoranti e pub, un paio di pensioni e un solo hotel vero e proprio, il Mantis: realizzato in una struttura del 1774 (ma con un’ala più moderna aggiunta nel 2014), ha un bel ristorante che serve ottimo cibo e vini sudafricani, un bar aperto fino a tardi e camere comode e arredate con gusto.
Scordatevi, invece, resort, spa e cose del genere. Però ci sono bellissimi alloggi (alcuni su Airbnb) sulle colline dell’isola, ricavati da case dell’Ottocento o costruiti ex novo, con fantastiche viste sulle vallate e sul mare.
Agli amanti della tintarella un avvertimento: qui non ci sono spiagge (tranne Sandy Beach, di sabbia nera), l’acqua è tutto l’anno sui 24 gradi ma il clima è bizzarro e solo in gennaio e febbraio è davvero estate come la intendiamo noi. Nuotare è comunque sconsigliato per le forti correnti, salvo che non si vada a fare diving o snorkeling con una guida.
Insomma, il suggerimento è questo: se la vostra meta è il Sud Africa e avete 3-4 giorni in più, saltate su uno dei voli per l’isola. Già dall’atterraggio (la pista finisce su entrambi i lati su scogliere a picco sul mare alte duecento metri e la gente del luogo va ancora in aeroporto a vedere i “forestieri” che sbarcano) e poi girando l’isola, scoprirete un mondo a sé, un luogo unico abitato da persone gentili che ti salutano per strada anche se non ti hanno mai visto prima.
Il mix razziale è senza paragoni: ci sono gli inglesi bianchi come il latte, i neri discendenti degli schiavi che transitavano sull’isola fino al 1830, ma la maggior parte della popolazione ha tratti africani misti ad asiatici, perché dopo l’abolizione della schiavitù la Compagnia delle Indie portò a lavorare sull’isola centinaia di cinsi, indonesiani e srilankesi.
Ah, i prezzi sono quelli del Sudafrica, anche se qui siamo formalmente nel Regno Unito. Gusterete fish and chips scolandovi una birra allo yacht club per meno di dieci pound e cenerete con meno di venti (vino sudafricano incluso). E per una ventina di pound vi porterete a casa una bottiglia di gin o rum locale prodotto, come recita l’etichetta, nella “distilleria più remota del mondo”.