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 2024  dicembre 27 Venerdì calendario

Salvare gli alpinisti è «difficile ma non impossibile»

«La speranza è sempre l’ultima a morire». Marco Confortola è uno di quei valtellinesi schietti che sono abituati a dire le cose come stanno. C’è mica tempo, in montagna, per ciance di comodo. Sta «andando a montare notte al Soccorso», Confortola, ieri pomeriggio, nella sua Valfurva: è guida alpina, è maestro di sci, è uno che di Ottomila completati ne ha all’attivo dodici. Per questo, quando ripete che non è finita, le sue parole valgono doppio. «I soccorritori abruzzesi stanno facendo il possibile per aiutare i due alpinisti bloccati sul Gran Sasso, dipende da molti fattori».
Confortola, possiamo davvero essere ancora così ottimistì? Dopo cinque notti?
«Io ho bivaccato, dopo aver salito il K2 senza ossigeno, una notte intera a 8.400 metri d’altezza senza niente. In altissima quota, non avevo cibo, non avevo materiale per un bivacco. Può darsi che loro abbiano trovato un piccolo riparo, abbiano fatto un buco nella neve. Se sono riusciti a mettersi in sicurezza evitando il vento forte… Guardi che il primo problema è proprio il vento».
Non il gelo?
«Il vento, quando soffia forte, abbassa tantissimo la temperatura corporea. Se hanno l’attrezzatura adeguata, se sono riusciti a costruire una piccola “truna” (un riparo fatto di neve, ndr) e la caduta non ha procurato loro dei particolari danni a livello fisico, non si può mai sapere. Glielo ripeto, a quelle quote la speranza è l’ultima a morire».
Dita incrociate, chiaro. Lei quella salita l’ha fatta?
«Una volta, sì. Non è una camminata, è un’ascensione. Non particolarmente difficile, però dipende sempre dalle condizioni della montagna, dalla preparazione e dalla tecnicità che uno ha acquisito col tempo. Io questi ragazzi non li conosco e non voglio dare giudizi. Mi auguro che riescano a tornare a casa, ma non intendo sputare sentenze che, tra l’altro, non servono a nessuno».
Ha ragione, parliamo in termini generali. Cosa significa “scivolare” a quelle condizioni?
«Esistono scivolate e scivolate. Facciamo attenzione, però: un conto è scivolare e un altro è precipitare, perché una scivolata su un canalone di neve può arrestarsi dopo pochi metri, ma se si fa più lunga diventa problematico fermarsi».
È solo una questione di lunghezza?
«No. Dobbiamo anzitutto chiarire l’entità e di quanti metri è, d’accordo. Ma poi una cosa importantissima è capire se ci sono feriti o meno, perché in questi casi anche una semplice frattura alle ossa può complicare il quadro. Glielo ripeto, queste sono idee che ci siamo fatti noi. Non possiamo sapere cosa sia effettivamente successo finché i due alpinisti non verranno ritrovati».
Come mai i soccorsi fanno così fatica?
«I colleghi abruzzesi stanno facendo un lavoro importantissimo e a loro vanno i miei più sentiti complimenti. Sono persone, volontari che si mettono a disposizione per salvare gli altri e non è poco. Detto questo, devono fare i conti con le condizioni climatiche. La macchina dei soccorsi arriva fin dove può andare in sicurezza. Glielo dico senza girarci troppo attorno: non avrebbe senso che altre persone vadano a rischiare ulteriormente la vita se gli standard di protezione non sono adeguati. Lo stesso discorso vale per l’elicottero». 
Cioè?
«Anche a livello aeronautico non su può pensare che un elicottero voli col brutto tempo, magari quando non c’è visibilità e tira il vento forte. Tutte queste cose, purtroppo, creano difficoltà oggettive nelle operazioni di soccorso. Succede, è successo non solo in questo caso. Bisogna sapersi fermare prima di fare il pasticcio».
Con queste eventualità cosa va fatto? Qual è la procedura da seguire?
«Gli alpinisti hanno sempre delle attrezzature come la piccozza che può servire proprio a fermare le scivolate. Logicamente se sono in due e sono legati c’è anche la corda che può aiutare: durante la risalita si prendono delle attenzioni come tenere la corda, appunto, ben tesa proprio perché in caso di scivolata se questa è in tensione si può fermare subito».