il Fatto Quotidiano, 24 dicembre 2024
Intervista a Edoardo Pesce, attore ma anche cantante
Lo chiamavamo Ervis. Con la erre.
Chi era?
Avrà avuto cinquant’anni. Ciuffo impomatato, girava su un cinquantino e cantava Presley. In vernacolo, l’inglese non lo sapeva.
Tipica figura mitologica della periferia romana, caro Edoardo Pesce.
Poi c’era un meccanico. Noi ragazzini giocavamo a pallone, lo chiamavamo per fargli fare i cross. Sinistro fatato. Usciva da sotto le macchine in officina, calciava e tornava a lavorare.
La sua Tor Bella Monaca.
Abitavo lì con nonni, mamma e zie in una palazzina di tre piani. Una bolla felice. Più in là le case popolari, dove si innervosivano facilmente.
Si innervosivano.
Tutti ammucchiati, spazi troppo stretti. Inevitabile che prima o dopo qualcuno facesse cazzate.
L’anno scorso è stato protagonista di El Paraiso. Un figlio bambacione, criminaloide, con madre sudamericana asfissiante. Ambientazione: Fiumicino.
Mi ero ispirato ai ‘muli’ della droga. Questo si chiamava Julio Caesar, la mamma è una formidabile attrice colombiana, Mariarita Rosa De Francisco. Esplorava Trastevere per assimilare la calata dei romani che litigano. Nel tempo libero, si stava laureando in Filosofia.
Lei, Edoardo, è per parte di padre un romano del centro.
Sono uno strano animale. Metà Torbella, l’altra metà Prati. Con la residenza nel quartiere della buona borghesia, riuscii ad andare al liceo Mamiani. Scherzando, raccontavo che i miei compagni conoscevano pure qualche vocale, non solo le consonanti.
Però la Roma più marginale le è stata utile per Martedì e venerdì, il secondo film di Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis.
Un altro meccanico, di moto. Si ritrova alle prese con il divorzio e il mantenimento della figlia e finisce, malgrado la sua onestà, a fare il ‘pilota’ delle rapine. Moro mi ha sorpreso per la cura della regia. Forse proprio perché è il cinema non è il suo primo mestiere.
Lei invece fa spesso incursioni nel mondo della musica. Con l’orchestraccia, e da solista. Lo spettacolo Scanzonato sarà al Teatro Garbatella il 3 e 4 gennaio.
In versione unplugged. Non sono un cantante, semmai un interprete. La chitarra di Stefano Scarfone, e qualche mio monologo.
Brani immersi nella romanità contemporanea.
Come quello sul sampietrino. Ma anche attualizzazioni di classici. Chitarra romana diventa Cucchiara romena.
Il sampietrino è praticamente sparito con i lavori per il Giubileo. Così presto la voce a uno di loro, che cerca di nascondere il sasso ‘cucciolo’ dalla deportazione, e salva un parente cubico dall’asfaltatura. C’è pure un cugino ‘nasone’, la fontanella chiusa per via della sua forma fallica. Quanto a Cucchiara romena, il protagonista è un manovale dell’est che ha due figli, uno avvocato e l’altro ingegnere edile, che lo vendicheranno dal padrone schiavista. Ho in canna anche Sambasio, omaggio brasiliano a San Basilio. Teatro-canzone.
Estimatori famosi?
Mi esibivo in un localino di via dei Coronari, serate organizzate da Stefano Reali. Venne Gigi Proietti, ascoltò Cucchiara romena.
E?
Disse che gli era piaciuta, gli avevo strappato uno dei suoi inconfondibili sorrisi. Però se ne andò via prima della fine. Sempre meglio che con Morricone.
Che accadde con il Maestro?
Si addormentò mentre cantavo. Si scusò parlando di una sveglia alle quattro del mattino. Ripensandoci, il suo sonno mi salvò da una bocciatura.
Da attore, le è capitato di incarnare Alberto Sordi.
Mi chiamò Luca Manfredi, restai basito. Arrivai troppo gonfio al provino, che comunque andò bene.
Gonfio perché?
Uscivo dall’aver prestato la faccia a Giovanni Brusca in una serie tv.
Dal mafioso ad Albertone.
La Rai aveva concesso solo 25 giorni per le riprese, andammo di fretta, c’era da celebrare il centenario. Ne uscì un ritratto edulcorato, agiografico, una specie di pagina Wikipedia di Sordi. Tagliarono molte cose interessanti.
Tipo?
La scena in cui Alberto beve whisky con una donna dentro una vasca. Troppo lascivo, dissero. O la storia di quando diventa comparsa e sostiene, mentendo, di essere del Quarticciolo.
Del Quarticciolo.
Per ingraziarsi le borgate rosse, Mussolini disponeva che queste fossero favorite a Cinecittà. Sordi inventò di essere nipote del Duce, il direttore di produzione di un film sull’antica Roma gli concesse una battuta. Che poi eliminò.
A proposito della Capitale: il Concertone di Capodanno?
Tony Effe mi è simpatico, lo apprezzo dai tempi della Dark Polo Gang. Per accattivarsi le simpatie del grande pubblico potrebbe cambiare nome.
Optando per?
Tony D. Il pro-pronipote dell’umberto D. di Vittorio De Sica.