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 2024  dicembre 24 Martedì calendario

Intervista a Enrico Vanzina

«Mia madre non voleva che facessi cinema, sapeva che era un lavoro rischioso, era un po’ zaloniana: voleva per me il posto fisso, sognava che diventassi un ambasciatore». Il regista Enrico Vanzina, firma di commedie di successo come Sapore di mare e Vacanze di Natale con il compianto fratello Carlo (venuto a mancare nel 2018), ricorda le sue radici prima di affrontare una nuova sfida. Sarà direttore artistico del Festival Internazionale del Cinema di Pompei a giugno: «Un piccolo festival sull’identità culturale, ma non mi farò mangiare dalla politica, chiunque ci provasse riceverà un bel calcio nel didietro».Partiamo da sua madre, Maria Teresa Nati, perché voleva diventasse ambasciatore?«Avendo lei lavorato al ministero degli Esteri era un po’ una sorta di rivincita, come le mamme che mandano le figlie a Miss Italia».Una lezione su tutte ricevuta da sua madre?«L’amore. Lo ha messo in maniera prepotente in tutte le scelte che ha fatto nella sua vita. Anche quelle sbagliate sono sempre state motivate dall’amore. Aveva ragione».Da suo padre Steno cosa sente di aver imparato?«La cultura è quel che resta quando si è dimenticato tutto il resto, diceva. Bisogna essere colti anche se fai commedie, e conoscere teatro, musica e arte. Al cinema la nostra famiglia deve tutto: ci ha fatto lavorare, imparare, stare a contatto con il pubblico e soprattutto essere liberi».Si chiede spesso dei maestri, vorrei chiederle invece quali sono state le sue maestre.«Suso Cecchi d’Amico, amica di famiglia che mi ha insegnato la calma e l’ascolto degli altri, perché il cinema si fa in tanti. E Lina Wertmuller, con quella forza travolgente, la tenacia e l’entusiasmo, resta una delle donne più spiritose che abbia mai conosciuto».Il suo rapporto con le donne nel cinema?«Mi hanno insegnato la bellezza, ma non solo nel cinema, se penso alla musica devo molto a Billie Holiday, Ella Fitzgerald e Mina, di cui sono tuttora innamorato. Fuori dal cinema mia moglie Federica Burger ha un ruolo speciale: ho voluto dedicare a lei il mio David di Donatello alla carriera, sottolineando che pur non essendosi mai “impicciata” di cinema mi ha insegnato il senso della vita».Impicciamoci di cinema: ha mai l’impressione che imitino i vostri primi film?«Forse hanno la speranza di saperli fare».Le commedie di oggi le piacciono?«No, raccontano poco questo Paese. La specificità della commedia italiana era essere uno specchio della società, raccontare personaggi drammatici attraverso una storia leggera per far capire cos’era l’Italia, come Il sorpasso di Risi. Le commedie oggi non lo fanno più, sono diventate moraliste».Il moralismo è nemico della commedia?«Lo diceva il mio grande maestro Ettore Scola: mai essere moralisti in una commedia perché bisogna rispettare le ragioni degli altri. Possono essere contrarie alle nostre, ma dobbiamo rispettarle».Arriviamo al suo festival: ha detto che punterà sull’identità culturale, ma non è nazionalista.«No, il nazionalismo è un’altra cosa. L’identità culturale è la necessità di convivere con le meraviglie e le criticità degli altri, con le loro differenze. Si basa sul confronto con gli altri, da liberale penso che la cultura debba diventare una federazione di culture in cui tutti hanno voce in capitolo, mantenendo la certezza di sapere da dove si viene. Sono figlio del regista di Un americano a Roma, Sordi che preferiva mangiare gli spaghetti raccontava bene l’identità culturale».Perché ha accettato di fare il direttore artistico?«Da regista ho avuto una libertà impagabile, i film restano nel bene e nel male, ora sento di dover restituire qualcosa».Cosa intende quando dice che il cinema è diventato “troppo globale”?«Oggi i mezzi di diffusione del cinema passano attraverso entità che tendono a semplificare. Pensi alle piattaforme, l’esigenza di avere un pubblico globale porta a linguaggio, psicologia e standard globali».Eppure il cinema italiano che convince all’estero è in genere molto locale, Vermiglio è candidato ai Golden Globe e in corsa per gli Oscar.«Vermiglio nel suo piccolo racconta qualcosa di italiano che colpisce tanto all’estero, è vero, temo che i suoi nemici siano proprio gli italiani, per i sottotitoli e una serie di resistenze per cui spesso il nostro pubblico bolla anche film più pop come “troppo locali”. Per un periodo feci anch’io parte della commissione che seleziona i film da mandare agli Oscar».Che esperienza era stata?«Scegliere è un compito difficilissimo, specie senza farsi influenzare dalle simpatie personali. Si decide anche pensando alle chance che può avere un film italiano all’estero, quest’anno pensavo che Parthenope ne avesse di più, essendo Sorrentino conosciuto all’estero con un cinema di forte identità nazionale, invece è stata fatta la scelta coraggiosa di Vermiglio che sta dando i suoi frutti e ne sono molto contento».Il cinema italiano nel frattempo è fermo.«Resto ancorato a un cinema in cui c’erano i produttori che si innamoravano di un’idea, investivano soldi e la portavano sullo schermo, oggi senza sussidi non si fa il cinema, sono un po’ preoccupato».Confida nel nuovo ministro?«Non è questione di ministro, i sussidi pubblici sono molto importanti, garantiscono occupazione, ma sono convinto che il cinema debba ritrovare una strada anche privata».Ha pubblicato il romanzo Noblesse oblige, pensa di farne un film?«All’inizio non pensavo, poi visto che piace mi sono messo a scrivere la sceneggiatura».