la Repubblica, 24 dicembre 2024
Il bue e l’asino sono nel presepe per un refuso
Cosa ci fanno nel presepe l’asino e il bue? Perché non la giraffa e il canguro, il rinoceronte e il pavone? Se non sapete rispondere a questa domanda potete leggere un libro inventivo e fantasioso, Il presepe (Adelphi), scritto da Giorgio Manganelli negli anni Settanta, o forse all’inizio degli Ottanta del XX secolo, e pubblicato postumo. Se si esamina tutto il sapere dedicato agli animali, asserisce Manganelli, non si troveranno animali più adatti di loro per presenziare alla nascita di Gesù. Eppure, spiega lo scrittore, si tratta d’un equivoco frutto di un piccolo ma significativo errore di traduzione: «Nacquero da un genitivo plurale frainteso da un monaco». Il monaco tradusse: «Tra due animali» anziché «tra due età». Insomma, un refuso.Manganelli non lo spiega in dettaglio, resta nel vago. Per fortuna c’è un altro libro con il medesimo titolo (Il presepe, Einaudi) scritto da Maurizio Bettini che lo fa, partendo dalla resa del Libro di Abacuc, un semisconosciuto profeta biblico. Il testo scritto in ebraico venne tradotto “male” nella versione greca dei Settanta, e di questa menda non si accorse nessuno, neppure l’abile filologo San Girolamo, che presiedette alla versione latina. In questo modo una svista aprì lo spazio per far entrare i due animali nella scena della Natività: li canonizzò.Senza di loro il presepe non è Presepe. Più degli angeli e dei pastori con le loro greggi, più della folla che contorna Maria, Giuseppe e il Bambino, sono gli animali a riempire il presepe: senza è vuoto. Pari a loro, o forse un gradino più sotto, ci sono i Re Magi, ma loro arrivano dopo, all’Epifania, e poi portano i doni. In realtà la quaestio de bove et asino, come la chiama Bettini, è più complicata, per cui chi vuole saperne di più può leggersi le pagine del bellissimo ed esauriente volume, dove lo studioso e scrittore mostra il cosiddetto sarcofago di Stilicone del IV secolo conservato a Milano nella basilica di sant’Ambrogio con la sua Nativitàche include una delle prime immagini del passato con il bue e l’asino.Ma che animali sono solo due errori di traduzione? Per Manganelli nessun animale «è triste e sconfitto come l’asino o avvilito e depauperizzato come il bue». Inoltre, il primo possiede la pazienza e insieme la forza del sesso: è «un dissoluto»; il secondo manifesta invece «potenza e lentezza»: è «un accidioso». Perché vennero scelti proprio loro? Perché erano umili? Manganelli: «No, vennero scelti perché si credeva che fossero il contrassegno della sconfitta». Curiosa spiegazione, ma forse molto vicina al vero. Sono, a detta dello scrittore di Hilarotragoedia, gli unici viventi della sacra rappresentazione e proprio per questo «non hanno anima». Curiosa definizione. Per Manganelli a differenza degli angeli, gli unici tutta anima, loro due «non hanno alcun interesse diretto alla sacra rappresentazione»: per loro non c’è alcuna salvezza possibile, perché non peccano, non hanno bisogno di perdono, non hanno bisogno di salvezza, non sono perduti: sono lì e basta. Nel mondo antico l’asino possiede la potenza sessuale, come racconta Apuleio nel suo L’asino d’oro, per questo è scandaloso. Ma il cristianesimo l’ha desessualizzato, ne ha fatto una cavalcatura non pericolosa, umile e paziente. Gesù usa l’asino nella sua entrata trionfale in Gerusalemme. Nelle pagine degli scrittori cristiani l’animale è lodato per la sua mitezza e saggezza. È docile. Lo si loda come animale saggio e mite: bestia dolente, ora suscita compassione. Per questo sta lì accanto alla mangiatoia dove è adagiato Gesù Bambino? Probabilmente sì. In questo gareggia con la mortificazione del bue. Manganelli scrive che il bue non è altro che un vitello capace di diventare un toro «poderoso e generante, innumerevole volte generante», e invece è stato castrato. Perché? Forse per mortificarne la forza, «la ribellione indomabile, il sesso capace di generare giganti?». La considerazione fa riflettere: «La mitezza del bue ha qualcosa di torvo, è il rovesciamento della sua forza; è lo spianamento dell’abisso». Il priapeo e il tranquillo «sono a ridosso del bambino. Ma che cosa guardano? La paglia? No, il pupo».«Sono viventi che amano la noia», aggiunge lo scrittore. Forse «una pia noia?». La noia madre del pensiero, possiamo aggiungere, se abbiamo letto Martin Heidegger, è lì, nel presepio.Di certo attendono: sono in eterna attesa. E il Bambino? Ha gli occhi chiusi? Dorme? Sogna? Può «solo sognare se stesso», scrive ineffabile Manganelli. Forse invece guarda. Chi? L’asino o il bue? O entrambi? In quel sarcofago di Stilicone, coevo di Ambrogio, vescovo di Milano, sul lato B del coperchio scolpito nella pietra, proprio al centro della scena, c’è il Bambin Gesù sdraiato in un letto, quasi un triclinio, completamento avvolto dalle fasce, come ingessato secondo gli usi del passato. A destra sta l’asino e a sinistra il bue, entrambi accovacciati. Niente Maria, niente Giuseppe, niente angeli e niente pastori e le loro fide pecorelle, i Re Magi manco si vedono all’orizzonte. Sui lati della scultura in modo simmetrico due uccelli, forse corvi – sono quelli di Noè? – stanno becchettando qualcosa che somiglia all’uva, o forse un pane, o altra forma mangereccia che solo un provetto iconologo potrebbe identificare. Sono emblemi di qualcosa? Né Manganelli né Bettini se ne occupano purtroppo.A colpire è la chiusa del primo. Dopo aver discettato dei due animali prodotti dall’errore con un colpo di teatro fa entrare in scena, dentro la Sacra rappresentazione, un altro animale, un piccolo animale: «Un topo, un topo!». Sguscia tra le luci del proscenio: è grazioso? «È ripugnante?» si chiede. «Porta epidemie?». Non si sa. È l’unico che si muove. Forse è un errore, scrive, come il bue e l’asinello, come lui stesso, chiosa lo scrittore. Viviamo in mezzo agli errori, agli sbagli, ai malintesi, alle imprecisioni e alle inesattezze, ci ricorda di continuo il sulfureo Manganelli. Forse è proprio questo il compito dei due animali? Possibile. Provvida fu la mano del monaco e il suo abbaglio. Non dimentichiamocelo mai. Buon Natale!