la Repubblica, 24 dicembre 2024
L’inviato Onu in Siria «Al Jolani dice le cose giuste»
Poco più di una settimana fa, Geir Pedersen era seduto nel salone di in uno dei palazzi governativi di Damasco di fronte ad Ahmed al Shaara, alias Abu Mohammed al Jolani, il leader dei ribelli dell’Hts dall’8 dicembre padroni del Paese. Un’esperienza che ha colto di sorpresa anche lui, che da sei anni ricopre la carica di Inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria e che pure, come moltissimi altri protagonisti della scena internazionale, non si aspettava una caduta così rapida di Bashar al Assad. Ma questo, ormai, è il passato della Siria. Sul suo futuro, invece, questo diplomatico norvegese di lungo corso, che è oggi il ponte fra la comunità internazionale e la nuova leadership, può incidere molto.Pedersen, a Damasco lei ha incontrato Jolani e i vertici dell’Hts: che cosa dobbiamo aspettarci per il futuro della Siria?«A Damasco si respira un grande senso di sollievo e di gioia per la fine di un regime che ha governato con il terrore per cinque decenni: il sentimento più comune è quello di un nuovo inizio, ma non possiamo negare che in certi settori della società ci sia anche la paura che questo processo possa non andare nel verso giusto. Al Shaara e i suoi uomini mi hanno rassicurato su molti punti, compresa la volontà di includere le diverse comunità e le diverse anime della società nel processo di transizione. L’idea è che la leadership provvisoria che hanno creato resti in carica per tre mesi per avviare un’autorità di transizione che inizi poi a lavorare a una nuova Costituzione e a preparare le elezioni. Quanto potrà durare questo processo non è ancora chiaro: ma la discussione è iniziata e questo è importante».Ma come si fa a essere certi che un gruppo sunnita, di ispirazione estremista, sia pronto a rispettare le altre fedi, o più in generale le donne e i diritti umani?«Ho ricevuto molte rassicurazioni e posso dire che le cose che mi hanno detto sono tutte giuste. Ma so bene che le parole non bastano: è responsabilità della nuova leadership trasformare le parole in fatti concreti. Le persone sanno come l’Hts ha governato a Idlib: ed è chiaro a tutti che la Siria non potrà essere governata nello stesso modo. La nuova leadership guida ilPaese solo da due settimane: finora non ci sono stati grandi incidenti, la situazione sembra sotto controllo, anche perché le istituzioni dello Stato non sono state smantellate. E, da quello che mi hanno detto, non verranno smantellate: staremo a vedere. Quello che so per certo, è che ho incontrato ex prigionieri politici, rappresentanti delle famiglie degli scomparsi, attivisti, donne e giovani: tutti in questa fase sono pieni di speranza, tutti hanno la sensazione che siamo davanti a un nuovo inizio».Anche in Tunisia, in Yemen, in Egitto e in Libia quando i rispettivi governi vennero rovesciati chi prese il potere disse le cose giuste. E sappiamo come è andata…«Quello che solleva è un ottimo punto. Posso solo dirle che i siriani, non solo quelli che oggi sono al potere ma tutti quelli che hanno lottato per la libertà, sanno bene che non posso permettersi di fallire dopo tutto ciò che è successo. La comunità internazionale condivide questo punto di vista, e per questo è pronta ad aiutare la Siria a ripartire, offrendo assistenza economica, supporto per la ricostruzione e per creare un meccanismo di giustizia per le vittime, gli scomparsi e le loro famiglie. È chiaro a tutti, in Siria e fuori, che questo è il tempo di ripartire, non di dividersi».Lei ha parlato dell’appoggio della comunità internazionale. Ma sin dalle prime ore dopo il cambio di regime, da molti Paesi che li ospitano si sono alzate voci che chiedevano il ritorno dei rifugiati siriani in patria: il sostegno che verrà offerto a Damasco è legato alla questione del rientro dei rifugiati?«L’offerta di sostegno non è legata alla questione del rientro dei rifugiati, ma di certo alla stabilità. Per far tornare le persone dall’esilio serve un Paese stabile, con un’economia che deve ripartire: nessuno torna in una casa distrutta. Questo può avvenire solo in presenza di un processo politico aperto a tutta la società. Se vogliamo vedere un rientro massiccio dei rifugiati dobbiamo sostenere la transizione. E questo è quello che la comunità internazionale è pronta a fare».