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 2024  dicembre 24 Martedì calendario

Alberto Angela: «Faccio tv, non la guardo»

«In visita a Pompei una bambina ha chiesto ai suoi genitori: ma dov’è Alberto Angela?». In questo dettaglio si racchiude il successo del nostro massimo divulgatore nazionale.
Si sente più Ulisse o Indiana Jones?
«Mi sento un po’ tutti e due, a seconda delle situazioni. Ulisse affrontava l’ignoto usando la razionalità e quando fai ricerca è un approccio fondamentale. Indiana Jones rimanda invece all’immagine dell’uomo che si trova a tu per tu con le civiltà passate: lui piace per questo, per la voglia di scoprire mondi antichi e affascinanti. In tanti sono diventati archeologi grazie a quel personaggio, a me piace pensare che la scienza possa interessare attraverso i miei programmi».
La curiosità nel Dna, ha vissuto i primi anni a Parigi, la chiamavano «monsieur pourquoi», mister perché.
«Facevo un sacco di domande ai maestri, non mi bastava mai. Da bambino ero già appassionato di storia, affascinato dal racconto di epoche lontane, mi faceva l’effetto di un film di fantascienza, come viaggiare in mondi di fantasia, ma autentici».
La dote del racconto quando arriva?
«Anche quella già da piccolo, sono sempre stato il contrario del timido. A scuola per me avevano inventato un premio per l’eloquenza». Ride: «Ero un predestinato a divulgare».
Suo padre Piero cosa le ha insegnato?
«Lavoro, umiltà, qualità. Diceva sempre: mai usare la scienza per fare spettacolo, ma il contrario: usare lo spettacolo per parlare di scienza. Io in fondo mi sento un ricercatore prestato alla tv».
Per un figlio è complicato lavorare con il padre. Tensioni tra di voi?
«Mai. La scienza non crea divisioni, chi ha lo stesso pensiero, chi ragiona in modo scientifico, parla delle stesse cose. La scienza è produttiva, inclusiva, stimolante, aiuta a trovare soluzioni».
La tv non le ha mai fatto montare la testa?
«A me piace divulgare, spiegare la scienza, la tv ha l’effetto collaterale di farti riconoscere per strada ma non è mai stato il mio obiettivo. Se fai tv per i selfie con gli spettatori non vai lontano».
Domani, la sera di Natale, torna in prime time su Rai1 con Stanotte a Roma, un viaggio tra le meraviglie della capitale, da Castel Sant’Angelo alla scalinata di Trinità dei Monti, dal Colosseo al Pantheon, ma tocca anche destinazioni meno conosciute come l’ipogeo di via Dino Compagni.
«Facciamo vedere i vari volti di Roma, i suoi diversi bisbigli notturni. Roma è sempre stata un centro di scambi, di idee, di uomini, di commercio. È un viaggio nella città della memoria che racconta epoche diverse: l’età romana, rinascimentale, barocca, papalina. E poi si aggiunge il fascino di una città vuota, deserta, che colpisce per il silenzio e certe inquadrature fiabesche».
Quanto guarda gli ascolti?
«Il mio obiettivo principale è andare in onda e ricordo che non ci sono altri Paesi che mettono in prima serata al sabato un programma di scienza e cultura. E poi nel Qualitel, di cui si parla sempre troppo poco, siamo in prima posizione. Sintetizzando: l’Auditel dice quanto è alta una persona, il Qualitel quanto è simpatica: per uscirci a cena lei chi sceglierebbe?».
La scorsa estate però il suo Noos era stato sospeso e poi ripreso. Come ha vissuto un’esperienza inedita per lei?
«Sono comunque contento di aver fatto un prodotto culturale di livello in prime time e inoltre avevamo contro una concorrenza che superava il 30 per cento (Temptation Island) mentre noi parlavamo di enzimi e neutrini. Mica semplice».
Ha avuto tante proposte, ma non ha mai fatto spot. Perché?
«Sicuramente avrei potuto guadagnare parecchio, ma ho sempre pensato che ne avrei perso in credibilità. Quello che sei non può essere comprato dai soldi».
Il suo «rivale» Giacobbo lo guarda?
«Chi fa tv non guarda la tv, non faccio lo snob, ma ho davvero poco tempo per vederla. Solo per questo programma ho lavorato di notte per 5 settimane».
Illuminista e positivista, come si immagina l’aldilà?
Ride. «Che ne so? Io non ci sono mai stato e poi come diceva qualcuno se nessuno è mai tornato indietro vuol dire che non si sta troppo male».