Corriere della Sera, 24 dicembre 2024
La tribù ripresa per la prima volta con foto-trappole
È Jair Candor, il veterano della spedizione, a chiudere la fila: quello che guarda le spalle al gruppo. In oltre 35 anni Candor ha guidato centinaia di missioni nella foresta ma questa potrebbe essere l’ultima prima di ritirarsi in pensione. Destinazione Mato Grosso, lungo il rio Pardo, nella terra dei Kawahiva. È stato lui il primo a scoprirli: nel 1999 si imbatté in quattro capanne, alcuni ripari per la caccia e la pesca utilizzati da un gruppo di indigeni fino a quel momento sconosciuti. Si allontanò subito per evitare di imporre loro la sua presenza: il suo scopo, come funzionario del Funai, il dipartimento brasiliano agli Affari indigeni, era dimostrare che quelle tribù esistono in modo che la loro terra potesse essere legalmente protetta.
Poi nel 2011 Candor è tornato sulle loro tracce in quest’area tra le più violente dell’Amazzonia. Dopo tre giorni di appostamenti, li avvistò: una famiglia di nove persone, che camminava nuda nella foresta con bambini sulla schiena e frecce più alte di lui. Per anni le compagnie di disboscamento avevano negato la loro esistenza. Ma Candor, nascosto dietro gli alberi, riuscì per primo a filmarli. E a fornire così una prova inconfutabile per fare partire il processo di demarcazione (e protezione) del loro territorio. Un processo ancora inconcluso: l’area non è ancora stata fisicamente delimitata.
Sono arrivate invece soltanto pochi giorni fa le prime foto di un’altra tribù isolata dell’Amazzonia, i Massaco, dal nome dal fiume che bagna le loro terre. Le hanno scattate «fototrappole» installate nella foresta: ritraggono un gruppo di uomini nudi, che impugnano armi e utensili, tra questi lunghi bastoni appuntiti e quello che sembra un coltello. «Il territorio dei Massaco è abbastanza intatto, ma ha bisogno di essere monitorato e protetto: è circondato da allevatori che rappresentano una minaccia e l’accaparramento di terre è diffuso nella regione», avverte Fiona Watson di Survival.
Nonostante l’incessante pressione dell’agrobusiness, dei taglialegna, dei minatori e dei trafficanti di droga, i Massaco sono almeno raddoppiati dall’inizio degli anni ‘90: oggi sarebbero 200-250 persone, stima il Funai, che lavora da decenni per proteggere il territorio. Anche i Kawahiva sono in crescita: dai 20 del 1999 ai 35-40 di oggi. Un’inversione di tendenza rispetto al passato, risultato della direttiva che impone di evitare il contatto con queste popolazioni. Candor e il suo team hanno trovato sulla sabbia in riva al fiume l’impronta di un bambino e un cesto di foglie usato dai Kawahiva per mescolare miele e acqua. «Significa che si sentono al sicuro. Stanno crescendo», osserva, nonostante la deforestazione in corso. «Negli ultimi anni la loro terra è stata più volte invasa da trafficanti di legname, accaparratori di terra e allevatori, costringendoli a scappare per evitare il contatto e incontri violenti – osserva ancora Watson —. Intorno al territori Kawahiva ci sono due riserve estrattive, con alti livelli di deforestazione. Solo in una di queste in 5 anni sono stati distrutti almeno 10.000 ettari di foresta. Il loro futuro è in bilico: se i loro diritti territoriali non saranno riconosciuti dal governo, questo popolo non sopravviverà».