Corriere della Sera, 24 dicembre 2024
Gli ultimi giorni di Bashar al-Assad
Alla fine è scappato come un ladro nella notte. Prometteva che non avrebbe mai abbandonato la sua Siria e i fedelissimi che avevano difeso 54 anni di regime del clan Assad. Addirittura, nelle ultime ore da presidente la sera del 7 dicembre, aveva annunciato che intendeva pronunciare un discorso alla nazione destinato a trovare un accordo con le unità militari dei ribelli che, da Homs a nord e Daraa a sud, stavano convergendo sulla capitale. Le telecamere della tv di Stato erano già state montate nel palazzo presidenziale, con le luci pronte e i giornalisti in attesa.
«Ma era tutta una messa in scena, un imbroglio utile a prendere tempo e potere darsela a gambe con maggior facilità. Bashar Assad è fuggito all’ultimo momento utile su di un autoblindo russa per raggiungere la base aerea di Hmeimin. Da qui ha preso un aereo mandato da Putin che l’ha condotto in esilio a Mosca. Non ha avvisato nessuno, ha tradito famigliari, soldati e amici: a dimostrazione del peso piuma che era. Certamente non aveva la stoffa per il ruolo che si era trovato a giocare. Il padre Hafez l’aveva scelto di ripiego, visto che nella prima metà degli anni Novanta il vero successore designato, il fratello maggiore Basel, era morto in un incidente d’auto. Bashar allora avrebbe preferito continuare a fare il medico a Londra. È stato presidente obtorto collo. Un leader suo malgrado, comandato a bacchetta dai vecchi uomini forti del regime e dagli ufficiali dei servizi di sicurezza. E così, anche negli ultimi mesi, aveva capito ben poco della situazione in Siria. I vecchi alleati della dittatura erano fuori gioco. Le forze dei ribelli stavano avanzando; l’Iran ed Hezbollah erano stati indeboliti da Israele; Putin, impegnato nella guerra in Ucraina, non era più pronto a intervenire per salvarlo. Erdogan offriva il dialogo, lui però lo rifiutava. Ma non poteva più permetterselo. E alla fine ha ceduto. Ha preso i soldi ed è scappato», dicono al Corriere fonti tra i circoli diplomatici occidentali nella capitale.
Negli ultimi giorni sia la stampa locale che testate internazionali come il Financial Times e il New York Times hanno investigato le fasi della caduta del regime, sino al momento della fuga nella notte del presidente assieme al figlio maggiore Hafez (ha lo stesso nome del nonno, che nel 1970 guidò il golpe). Bashar e Hafez arrivano sulla pista di Hmeimin verso mezzanotte. Nessuno spara loro contro. Gli ufficiali di Hayat Tahrir al Sham, il gruppo islamico che adesso domina nel Paese, negano vi sia stato alcun coordinamento: ai fuggiaschi è semplicemente andata bene.
Ma Putin è contrariato. Quando Bashar a inizio novembre era corso da lui per cercare aiuto, mentre i ribelli stavano attaccando Aleppo, il presidente russo gli aveva suggerito di parlare con Erdogan e cercare un compromesso. Mosca non era più disposta a salvarlo, come invece aveva fatto nel 2015. Da allora le telefonate di Bashar erano sempre più spesso rifiutate dal Cremlino. Ma Bashar sembrava deciso a chiudersi nella sua torre d’avorio, convinto di essere invincibile. Tanto che ancora il 30 novembre, il giorno della caduta di Aleppo, lui era a Mosca con la moglie Asma (in cura per un tumore) per assistere alla tesi di dottorato in fisica e matematica di Hafez. Le telefonate concitate dei suoi assistenti lo convincono a rientrare in fretta e furia. Chiede allora assistenza ai vecchi alleati a Teheran. Addirittura, arriva a Damasco il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, che cerca di lanciare messaggi rassicuranti, ma intanto ordina il ritiro di diplomatici e consiglieri militari. «Ho trovato che Assad era confuso, non comprendeva la gravità della sconfitta», dirà ai media iraniani più tardi. Bashar parla di «ritirata strategica» dei suoi soldati dalla seconda città del Paese: in verità è una rotta disastrosa.
Così, la notte della fuga, Bashar e il figlio attendono ben quattro ore sulla pista prima di riuscire a decollare. A Putin non piacciono i perdenti. Intanto, il fratello Maher si rifugia in Iraq. Il cugino Ihab Makhlouf viene ucciso dalle fucilate dei ribelli con la zia di Bashar mentre fuggono al confine libanese. Altri parenti e dignitari del regime sono spariti, forse prigionieri o feriti, oppure già morti. Bashar però porta con sé in volo due consiglieri incaricati di gestire i milioni rubati allo Stato e depositati nelle banche all’estero. «Vigliacco sino all’ultimo», accusano a Damasco, «ha preferito il benessere personale al bene del Paese».
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La notizia sul divorzio tra Asma e Bashar al Assad «non corrisponde alla verità», dice il Cremlino. Stando a quanto pubblicato sui media turchi e arabi nei giorni scorsi la moglie dell’oramai ex dittatore avrebbe manifestato l’intenzione di separarsi dal marito e lasciare la Russia, dove i coniugi sono scappati dopo la caduta del regime «di famiglia» a Damasco, ottenendo asilo da Vladimir Putin. Le voci, che dichiaravano Asma in procinto di trasferirsi a Londra, ieri sono state smentite dal governo russo.