Corriere della Sera, 24 dicembre 2024
Per Cacciari l’inaugurazione di Notre-Dame era blasfema
Che senso ha il Giubileo oggi, professore?
«Non certo quello di giubilare. L’etimo è inventato ma bello, il Giubileo è una bella notizia che dovrebbe far gridare di gioia, il momento della conversione che produce risultati concreti come la remissione dei debiti. E invece...». Il filosofo Massimo Cacciari non ha grandi aspettative: «Vede, le figure degli ultimi pontefici sono tragiche. Hanno cercato di restituire al Giubileo il suo significato perché conoscevano la situazione».
E qual è, la situazione?
«Il problema non è la secolarizzazione, come si sostiene. Si potrebbe anzi affermare che inizia con il cristianesimo: è il cristianesimo stesso a dire che dobbiamo vivere nel secolo, cos’è l’incarnazione se no? Gesù passa attraverso il laós, il popolo, è laico. Parlare di secolarizzazione non dice la tragedia».
E la tragedia dove sta?
«Nella scristianizzazione. Nel fatto che non si ascoltano più le parole di Gesù. Puoi benissimo non credere in Dio, non credere che Gesù sia il Lógos che sta presso Dio eccetera, ma le sue sono parole di una figura storica, pronunciate e trasmesse. Qui non c’entra la “morte di Dio” alla Nietzsche. Sono le parole del Vangelo, le Beatitudini, il Samaritano, che oggi tacciono».
Come, tacciono?
«Pensi al modo in cui sono state affrontate le ultime guerre, ai naufraghi lasciati affogare. È evidente che le parole del Vangelo non hanno contato nulla. Non che abbiano mai agito profondamente, già Kierkegaard parlava di duemila anni di scandalo. E tuttavia vi era una disponibilità all’ascolto in vastissimi strati della società e della politica. Malgrado non si siano mai davvero incarnate, se non in figure straordinarie come Francesco d’Assisi, almeno chiamavano. Potevo non sentire la forza di seguirle, ma chiamavano».
E ora?
«Non chiamano più questa società. Se uno giace come morto per strada devi soccorrerlo, se ha fame dargli da mangiare, se è nudo vestirlo. Fine. Se non lo fai, senti di essere venuto meno a una voce che ti chiamava a farlo. Ora non c’è neanche questo. Ci saranno ancora cristiani, resti d’Israele, in qualche monastero o sotto casa mia, ma sono persone, non costituiscono più la nervatura di una comunità. Quelle parole non parlano più in alcun modo nella azione politica, in coloro che formano l’opinione pubblica. La politica fa esattamente l’opposto e non se ne vergogna neanche più. Questo è il salto».
Francesco aprirà una porta santa in carcere come un richiamo al Vangelo...
«È un grande gesto, come lo è stato non andare a quella cerimonia blasfema a Notre-Dame, tra quei potenti. Ma cosa fate lì, precipitatevi a salvare vite umane in Ucraina o a Gaza, piuttosto».
Resta la tragicità della situazione.
«Sì. È tragica la figura di Wojtyla che lotta tutta la vita contro l’ateismo comunista e scopre infine che il pericolo viene dal consumismo. È tragico Ratzinger, grande teologo e grande europeo, che vede la scristianizzazione nel centro sacrale della cristianità, Roma, l’Europa, e si dimette perché non dilaghi nella stessa Chiesa. Ed è tragico Francesco che la dà per scontata e parla di periferie: d’accordo, ma come si fa? Che senso ha parlare di periferie se viene meno il centro?».