la Repubblica, 23 dicembre 2024
Restaurate le carte del delitto Matteotti
Tre anni di restauro ed ecco, inventariate e come fresche d’inchiostro, le carte giudiziarie sul delitto di Giacomo Matteotti. Ora consultabili anche in formato digitale, contengono le prove – prime e cruciali – sulle responsabilità di Benito Mussolini nell’uccisione del parlamentare socialista consumata il 10 giugno 1924 da un manipolo di sgherri guidato dagli assassini Amerigo Dumini e Albino Volpi, bracci armati della Ceka fascista, la polizia segreta voluta dal duce per colpire gli avversari più determinati.Sono 12 mila 606 fogli, raccolti in 84 volumi, con gli atti dell’istruttoria dei processi a Chieti (1926) e a Roma (1944-1947). Indagini, carteggi, deposizioni di testimoni e criminali: «È una raccolta documentale ponderosa», dice Riccardo Gandolfi, direttore dell’Archivio di Stato di Roma, ente promotore dell’iniziativa. L’istruttoria viene affidata dalla Procura della capitale a due magistrati leali e coraggiosi, Mauro Del Giudice e Guglielmo Tancredi che, tra tentativi di inquinamento delle prove e intimidazioni, subito dopo la scomparsa di Matteotti, gettano un fascio di luce sugli assassini (nel gruppo, anche Giuseppe Viola, Augusto Malacria, Amleto Poveromo) e intuiscono chi sia il mandante primo del delitto.L’indagine, partita con la denuncia dei compagni di Matteotti, avvertiti dalla moglie, va avanti dall’11 giugno ai primi di dicembre 1924.Del Giudice, più critico verso il fascismo, all’inizio è guardingo ma presto e nelle sue memorie, riconoscerà la lealtà di Tancredi. I due sanno di trovarsi di fronte a unomicidio volontario. E operano con estrema prudenza. La loro strategia? «Portare avanti le indagini cercando di raccogliere la messe più consistente di prove prima che li fermino», spiega lo storico Mauro Canali che, con il suo libro, Il delitto Matteotti (il Mulino), intuì per primo, quando negli Archivi italiani le carte dell’istruttoria erano off limits per gli stessi ricercatori, che ne avrebbe trovata copia a Londra.Già, temendo che potessero essere fatte sparire, fu Gaetano Salvemini a farsele mandare in copia, alla London School of Economics dove insegnava, da Giuseppe Emanuele Modigliani che, come legale dei Matteotti, aveva accesso agli atti processuali. «Sono uniche e preziose», continua Canali,«“si conoscevano, certo, ma non erano consultabili se non dopo 70 anni dal delitto» L’allievo di Renzo De Felice, spulciando tra i giornali dell’epoca, intuisce che copia di quegli atti si trova a Londra. Così, alla fine degli anni Ottanta, confida al suo maestro: «Parto per cercarla». La risposta: «Vai, ma a spese tue: l’ateneo non ha soldi». Così Canali scopre i documenti con i quali, nel 1997, pubblica il suo libro che – ricorda – «fece cadere ogni motivo per tenere ancora secretati gli originali».L’impegno dei due magistrati inquirenti riesce a spingere avanti l’istruttoria. Fino al dicembre 1924.Mussolini è insospettito e preoccupato. A sollevargli il morale è la mossa di Giuseppe Donati, fondatore e direttore del Popolo, quotidiano del Partito popolare: scambiando per pavidità la prudenza dei due magistrati, denuncia Emilio De Bono, capo della polizia, tra i mandanti di seconda fila dell’assassinio (con Cesare Rossi, promoter della Ceka, il faccendiere Filippo Filippelli, il deputato Giovanni Marinelli). De Bono, quadrunviro della marcia su Roma, è anche senatore. Per ciò, ai primi di dicembre, in Senato, si insedia una commissione e i due giudici vengono privati delle carte, promossi e spostati da Mussolini: Del Giudice finisce a Catania come procuratore generale e Tancredi in Cassazione.Roberto Farinacci, segretario del partito fascista e avvocato di Dumini ha così campo libero per animare un processo-farsa.È il 3 gennaio 1925 quando, alla Camera dei deputati, Mussolini si assume le responsabilità del delitto: «Se il fascismo è stata un’associazione a delinquere (sic), io ne sono il capo». E avvia la prima stretta contro le opposizioni, rafforza controlli, soprusi e, con questi, lo stato di polizia e il regime nato nel sangue dei giusti. Con il sentore diffuso della caduta dello Stato liberale, anche di questo informano le carte restaurate, ora consultabili da tutto il mondo nei siti dell’Istituto centrale per gli Archivi (Icar) e dell’Archivio di Stato di Roma per studiare un pezzo di Storia tragico e cruciale per l’Italia e non solo.