la Repubblica, 23 dicembre 2024
Il pensiero tenetevelo voglio un regalo vero
Finalmente è Natale! Con l’approssimarsi della festività mi si riempie il cuore ogni giorno di più: sento la gioia idratarmi e rigenerare il mio animo altrimenti rachitico e intorpidito per il resto dell’anno, quando se ne sta tutto rannicchiato in posizione fetale fra le mie malinconie e il mio scontento, mentre invece in questo periodo si stiracchia e saltella, agile e molleggiato, accennando persino a qualche passo di mambo; e non importa se le rughe d’espressione sfigureranno il mio viso come acido rendendo la mia pelle una superficie carsica e i miei selfie immagini che possano turbare la vostra sensibilità, lascio che questo sorriso vagamente ebete si allarghi e si spanda su tutta la mia faccia come un fiume in piena senza più argini a contenerlo. Astenetevi dunque dal proseguire con la lettura di questo pezzo se siete ormai dei cinici disillusi incapaci di provare ancora del calore umano, o se la vostra unica reazione alla gioia del Natale è quella smorfia sprezzante che vi sta accartocciando il viso proprio in questo momento.Sì, io amo il Natale. Pur non essendo più un bambino bensì un adulto, per giunta brizzolato, io amo il Natale. E lo amo per il suo spirito più profondo e genuino, autentico e radicato, irriducibile e puro. E non sto certo parlando del senso di rinascita che spesso, religiosamente, si attribuisce a questa festa: quale rinascita, semmai a Natale si ha una gran voglia di crepare! E poi nessuno aveva voglia di nascere, figuriamoci rinascere – con tutto quel sangue e placenta ovunque – per giunta a Natale, con la sfiga di vedersi la propria festa scippata niente meno che dal Figlio di Dio e neanche un bar aperto dove affogarsi nell’alcol. Né la mia gioia per il Natale è in alcun modo attribuibile alla famiglia riunita attorno alla tavola: già i parenti mi fanno schifo sempre – non a caso si chiamano “legami di sangue”, dicitura macabra che rende benissimo la disgustosa commistione di genitori, nonni, fratelli, sorelle, zii, nipoti e perfetti sconosciuti che sostengono di essere tuo cognato – figuriamoci a Natale, quando tutto questo si abbina a vino scadente e pietanze troppo salate. Il mio senso del Natale non è neanche riconducibile alla golosità: odio il menù del cenone o del pranzo di Natale in famiglia, a base di recriminazioni infarcite, sensi di colpa in brodo e acrimonia con l’uvetta. Preferirei mangiare il muschio brucandolo direttamente dal presepe. Vedere tutto il proprio asse ereditario lì riunito mentre maneggi posate fra le quali i coltelli suscita in me pensieri tutt’altro che natalizi. Né gioisco alla vista di tutta quella paccottiglia natalizia come luci succhia-bollette, alberi addobbati pronti allo schianto o festoni e decorazioni infiammabili pericolosamente vicini a candele accese alla profumazione di fuga di gas. Il vischio è buono solo per baciarsi, mascherando così le proprie molestie sessualicome romantiche tradizioni. No, la mia gioia per il Natale è ben più spirituale: la mia anima gioisce per i regali! È il consumismo il vero spirito del Natale: pacchi, pacchi e ancora pacchi! Come minimo, pacchetti – purché di un certo valore, magari esprimibile in carati. A Natale siamo tutti più buoni, a partire dai corrieri i quali non scendono dal camino di notte, ma molto più educatamente suonano alla porta di giorno consegnandoti un pacco senza che nemmeno tu debba ricambiare con un regalo a tua volta come invece dovresti fare con un amico. Cosa c’è di più natalizio dello scartare, e poter poi stringere a sé non una persona – con tutti i suoi difetti così deludenti e il suo cattivo odore – bensì un oggetto, una cosa, che non parla, non ti chiede, non ti accusa, non ti annoia? I regali sono il vero spirito del Natale; e la corsa ai regali non è forse essa stessa un regalo? Trovarsi bloccati nel babilonico traffico natalizio prima che i negozi chiudano genera in noi un profondo senso di comunità e appartenenza, molto più di una chiesa o di una fede in comune. Essere in coda alla cassa assieme a centinaia di persone, tutti incolonnati come sfollati, trasmette un calore umano che nessun parentado potrà mai restituire. Vedere i propri e altrui salari, guadagnati con fatica sovrumana e sottopagata, tramutarsi in oggetti, magari anche inutili e persino in plastica ma comunque bellissimi nel loro essere concreti in un mondo ormai sempre più virtuale e obsoleto, scalda il cuore ben più di un camino acceso. A Natale, per voi e per chi volete bene, riscoprite il consumismo più sfrenato: perché non è vero che abbiamo già tutto, ci manca sempre qualcosa. E non importa se poi quella cosa ce l’ho già: voi regalatemela lo stesso, magari con lo scontrino così la cambio, ma anche senza, non importa, vorrà dire che riciclerò quel regalo a qualcun altro. I veri Grinch, i veri guastafeste delle Feste, sono quelli che “basta il pensiero”. Se bastava il pensiero allora bastava che ve ne stavate a casa a pensare! Basta con i pensieri, ne abbiamo già tanti; siamo tutti pieni di pensieri e anche belli rimuginati, con il risultato che abbiamo le teste piene ma le vite vuote. Io non voglio pensieri, voglio cose, oggetti, eventualmente contundenti, da darveli o darmeli in testa. I nemici del Natale sono quelli che per regalo ti fanno una cosa fatta a mano ma non da un bravo artigiano professionista bensì da loro: di manufatti amatoriali accetto solo scimitarre, così da tagliarvici le mani non appena me le regalate. Peggio di loro solo quelli che a Natale “ti regalano” una donazione a qualche ente benefico: sono forse uno sfollato, un malnutrito, un lebbroso? A queste persone di solito ricambio regalandogli un panettone con i canditi, al quale ho io stesso provveduto a togliere il panettone.Auguro a tutti un Natale consumistico, affinché il Natale non consumi voi.