la Repubblica, 23 dicembre 2024
«Furbetti della Naspi» e pensionati poveri
I cosiddetti “furbetti della Naspi” sarebbero 53 mila lavoratori che l’anno scorso hanno incassato il sussidio di disoccupazione, dopo un contratto breve chiuso col licenziamento. E dopo averne terminato un altro a tempo indeterminato nei tre mesi precedenti, con le dimissioni volontarie e con lo stesso datore. Per il governo questo è un «fenomeno elusivo emerso negli ultimi anni», da contrastare perché ha «elevata incidenza». A questo tipo di lavoratori, dal primo gennaio, sarà negato il sussidio a meno che tra primo e secondo contratto non ci siano almeno 13 settimane di contribuzione. Lo Stato recupera 17 milioni, che a regime diventano 20 milioni all’anno.A leggere la relazione tecnica alla manovra boll inata dalla Ragioneria, diffusa ieri assieme al testo della legge di bilancio trasmesso al Senato dopo l’approvazione della Camera, la vera furbizia sta piuttosto nell’opportunismo dei datori di lavoro. Obbligano alle dimissioni il lavoratore così non pagano il ticket per il licenziamento, pari in media a 1.600 euro. Poi lo riassumono e dopo pochi mesi lo licenziano per fargli prendere la Naspi che gli spettava sin dal primo momento. Dice la relazione: «Si intende limitare la prassi elusiva e incassare maggiori somme dai datori di lavoro che necessitano di ridurre il personale, costringendoli al licenziamento in luogo delle dimissioni volontarie». Viene punito però solo il lavoratore. La relazione illumina anche la portata di altre norme licenziate dalla Camera. A partire dall’Ires premiale, il taglio di quattro punti dell’imposta, dal 24 al 20%. Lo sgravio avvantaggerà solo 18 mila società di capitali sulle 824 mila che nel 2022 hanno accantonato una parte degli utili. Queste 18 mila, sulla carta, rispettano anche le altre condizioni per il “premio”: investimenti e occupazione. Il governo prevede che faranno 11 miliardi di investim enti fra 2025 e 2026, e 109 mila nuove assunzioni.L’intervento per ampliare requisiti e importi dei d ue sussidi per i poveri, Assegno di inclusione (Adi) e Supporto per la formazione e il lavoro Sfl), conferma il flop delle due misure sin qui. La stessa relazione ammette che quest’anno l’Adi sta andando a 627 mila famiglie, inferiori alle 700 mila sbandierate dal governo e alle 758 mila previste dalla legge del 2023. Si pone rimedio, intervenendo su Isee e limiti di reddito. Così, scrive la relazione, «15 mila famiglie saranno recuperate da domande respinte» e si avranno «in media 85 mila famiglie in più all’anno». Nel 2025 anche oltre: si passa dalle 627 mila famiglie di ora alle 747 mila, 120 mila in più. Anche l’Sfl per gli “occupabili” – il cui importo mensile sale da 350 a 500 euro – si dovrebbe ampliare dagli 80 mila beneficiari attuali a 110 mila, molto lontani però dai 284 mila stimati nella legge istitutiva. Nel comparto pensioni si scopre che la spesa più elevata è per 1,8 milioni di minime (290 milioni di euro), anche se aumentano solo di 1,8 euro al mese. E per la maggiorazione sociale destinata a 1,1 milioni di pensionati poveri over 70 (118 milioni di euro).