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 2024  dicembre 22 Domenica calendario

Lettera (perfida) a babbo natale

Caro Babbo Natale più che un dono ho un semplice proponimento che vorrei coltivare con il tuo permesso: conservarmi in forma perfetta per invecchiare più tardi di chi in un letto non si muove più. E chi è che non si sposta più? Chi avuto più di me in modo immeritato, chi ha percorso tappeti rossi che non erano i suoi, passerelle che avrei dovuto calpestare io, chi ha parlato non sapendo cosa dire, chi ha indossato lo smoking pur sembrando un insaccato. Io con lo smoking sto a pennello, ho il fisico all’altezza.

Voglio invecchiare più tardi di chi ha passato serate nei posti più belli, negli alberghi lussuosi, nei ristoranti rinomati, esercizi che sarebbero spettati a me in assenza d’illegalità. È un desiderio meschino ma sapere che chi ha calcato l’arazzo non può farlo ancora perché agonizza in un pagliericcio d’ospedale, mi fa vento al cuore. Fosse anche per un solo giorno, devo fare quello che chi ha raccolto troppo non farà in futuro. Non gradisco vederlo morire, troppo funzionale, voglio che sappia che mentre scalda il lettuccio e avverte dolori articolari, io saltello lì dove camminava lui, perché amo il mio corpo e mi sento corrisposto. E sia un insegnamento: intrallazzare toglie spazio alla virtù. Ma adesso è tardi.
Vi spengo anche la luce. Dormite. Se riuscite. Domani non è un altro giorno. Per voi non più. Il letto v’incatena mentre io fronzolo sulle mie ginocchia. Sogni amari cari amici, come i miei pensieri quando vi vedevo esattamente dove dovevo trattenermi io. Su, adesso riposate. È notte. Domani scenderete a fatica dalla culla, ma il tappeto rosso ve lo metto in ogni caso. Perché verrò a trovarvi. E tra qualche giorno non calerete più, vi porteranno via dall’ultimo giaciglio lasciando le lenzuola sfatte a coprire le macchie del marciume: voglio oscillare sulle piaghe variopinte, disperarmi mentre rimbalzo sulla vostra branda, piangere perché da oggi non vi vedrò soffrir tuttora. Stenderò un tappeto rosso per venire a salutarvi al cimitero: vi preferivo vivi in avaria, da deceduti mi allettate meno. Però vi preferisco morti piuttosto che a Venezia. A meno che non affogati, in quel caso va bene la laguna. Ma che non sia un desiderio provinciale il mio, relegato al paese in cui sbavetto; voglio vedervi agli sgoccioli anche a Cannes, a Locarno, voglio che vi cada il David di Donatello, quello vero, addosso e che vi schiacci. Passo io a pulire, sarò io a mescolare il sangue col rosso del tappeto. Voglio vedervi morire a Berlino, va bene anche sotto gli ultimi pezzi di muro, a Los Angeles, in Alta Badia durante le vacanze, voglio vedervi andar via di notte come i ladri, e con voi i complici di tale ingiustizia, gli istigatori del massacro, coloro che scegliendovi hanno deciso chi spariva prima. Non voglio vedervi danzare come dice il poeta siciliano, ma voglio vedervi esalare, contarvi i respiri a rovescio, fare della morte un capodanno fuori calendario, meno 5, meno 4, meno 3, meno 2, meno 1, proprio quello che serviva. E del dolore dei parenti non mi curo? No di certo, io coltivo l’interesse personale, mica quello di chi ha vissuto con chi va alla gogna, non sono un missionario e se mi faccio infame è per dormire meglio. Da quando son bambino sogno la morte di chi m’infastidisce, sono sempre brutte persone, prive di talento, aggrappate al treno della somiglianza, esaltati da un manipolo di scribacchini che fanno per lavoro i conniventi.
Spero che qualche lettore si possa riconoscere nei morituri, potrei fare un elenco sterminato di chi danneggia la purezza, appartengono al mondo delle arti, e questo mi diletta poiché smaschera la mia penuria, l’incapacità di ritenermi superiore quando avrei le carte in regola. Ma non mi cruccio della mia mediocrità, la morte di qualcuno val bene il melodramma. Soprattutto aspiro a sgambettare mentre vi mettono la maschera d’ossigeno, voglio che la nebbia che il respiro fa sulla visiera trasparente vi faccia sembrare un’allucinazione il mulinar delle mie gambe. E appena vi portano via, balzare sul letto che vi ha ucciso come un bambino felice, se necessario saltare così alto da sbattere l’occipite contro il soffitto. Voglio morirci dove siete morti voi, e sulla lapide nato a Novara, morto dove siete morti voi. E prima di schiattare vengo anche al vostro funerale, mi metto in coda, tra gli amici meno cari: con tutte le cose che ho da fare, mi libero per venire a darvi l’ultimo saluto. Il futuro è in mano vostra, io la disponibilità l’ho data, adesso sta a voi morire.