La Lettura, 22 dicembre 2024
Boezio inventò la terapia filosofica
Che decadenza di significato ha avuto il verbo «consolare» con il passare dei secoli, scivolato nella melensa idea di rallegrare, o fermare il pianto dei bambini, mentre alla radice contiene il concetto di alleviare una pena, lenire un dolore intimo, saper costruire una relazione umana di aiuto… La banalizzazione che corrode il linguaggio ha associato la consolazione a una desueta frase: «Prendila con filosofia». Ecco perché è doveroso ricordare l’opera di un filosofo che aveva un lungo nome patrizio, Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, e che un millennio e mezzo fa fece una disgraziatissima fine, giustiziato per ordine del re ostrogoto Teodorico (per questo sarà poi martire e padre della Chiesa). Solo, incarcerato a Pavia, in attesa che la sentenza fosse eseguita, scrisse la Consolazione della filosofia. Sono passati 1.500 anni: dalla morte di Boezio e dalla composizione di un’opera capitale per la cultura occidentale.
Professor Antonio Donato, lei è autore di una monografia su Boezio e insegna al Queens College della City University of New York. Per prima cosa: l’anniversario è corretto? Ovvero, sono passati proprio 1.500 anni?
«Boezio morì tra il 524 e il 525, ma date e circostanze sono poco chiare».
Era in prigione?
«Si ritiene che lo fosse, ma alcuni studiosi sostengono che si trovasse agli arresti domiciliari. Il capolavoro scritto durante la detenzione è così denso di riferimenti e citazioni da far ipotizzare che avesse a disposizione la sua biblioteca. Ma attenzione: nell’antichità e nel Medioevo gli studiosi avevano una capacità di memoria che per noi non è immaginabile».
In quel momento Boezio è il maggior intellettuale d’Europa. Sulla sua fine esiste una letteratura quasi da «legal thriller». Era colpevole (di congiura contro il re) o innocente?
«La tradizione dice che fu tradito per invidia da persone di corte, perciò vittima di una condanna ingiusta. Altri ritengono che in qualche modo se la fosse cercata, per eccesso di ambizione».
La sua ipotesi?
«Pensiamo al quadro storico. Inizio del VI secolo. Momento di estrema incertezza. I re cosiddetti barbari reggono l’Italia però sono nominati ufficialmente da Bisanzio; quindi comandano, ma con cautela. Boezio, abile e disinvolto, coltissimo e invidiato, è la figura di spicco dell’aristocrazia romana, che ha ancora potere, e conserva anch’essa un rapporto preferenziale con Bisanzio. In più, ci sono la Chiesa e il papato. I dibattiti sulle eresie sono infuocati. Teodorico è cristiano, ma ariano. Cerca di apparire romano ai romani e barbaro ai barbari. Le congiure, vere o immaginate, si accavallano. Credo che in questo quadro Boezio sia stato una casualty of war, una vittima di guerra».
Si può dire che la Consolazione sia stata il primo bestseller d’Europa?
«È stata qualcosa di più. La prima traduzione in volgare, in inglese, è commissionata da Alfredo il Grande nel IX secolo. Elisabetta I chiederà una nuova traduzione. La Consolazione è stata ininterrottamente, per più di mille anni, un testo fondamentale per la cultura occidentale: qualsiasi persona istruita nel Medioevo studiava e conosceva il libro. E questo vale anche per i testi di logica e i manuali di matematica e musica composti da Boezio, rimasti i testi di base per l’istruzione nelle arti liberali fino al Rinascimento».
Perché un ragazzo nel 2024 dovrebbe leggere la Consolazione?
«Ho appena dedicato un semestre di insegnamento a quest’opera. I grandi autori vanno umanizzati. Avevano una cultura immensamente più vasta, un’intelligenza particolare, ma erano persone come noi. Boezio era un uomo in grande difficoltà che ha trovato nel medium letterario un modo per fare i conti con ciò che gli era accaduto. La consolatio era non solo un genere letterario, ma un po’ una forma di vita. Scrivere una lettera consolatoria, tra persone istruite, era un modo per aiutare chi aveva subito un trauma, un lutto, l’esilio. L’idea filosofica di fondo era che scrivere o leggere, guardando la propria esperienza personale alla luce di teorie universali, fosse un modo efficace per attraversare il trauma. Boezio, nella più cupa solitudine, scrive una consolazione a sé stesso, cosa piuttosto rara. Lo aveva fatto Cicerone per la morte della figlia, ma il testo non ci è arrivato. La consolazione era una forma di terapia. Il punto è capire che tipo di terapia troviamo in Boezio».
Quella della filosofia, delle idee?
«Certo, ma questa è solo la prima e la più ovvia. La Consolazione di Boezio è scritta in prosa e in poesia, in un’alternanza quasi perfetta. Dunque un secondo elemento della terapia è l’uso di immagini, di miti e della metrica, che per gli antichi è musica. Il testo è una macchina sofisticata che attiva la dimensione delle idee, ma anche quella dell’immaginazione e delle emozioni, in una prospettiva olistica, che ci permette di comprendere e riflettere sulle nostre difficoltà in modo diverso. Si potrebbe accostare alle terapie psicologiche odierne che lavorano non solo a livello cognitivo, ma anche in modo più profondo sulle emozioni e sulle sofferenze, per averne più consapevolezza. Questo è sicuramente un buon motivo per avvicinarsi a quest’antica opera».
Come si svolge la terapia?
«Boezio scrive la Consolazione in forma dialogica, è un dialogo con sé stesso, strutturato su due voci: Boezio personaggio e la personificazione di Filosofia con cui dialoga. È un metodo di investigazione di sé stessi che avrà un peso per molti autori successivi, ad esempio Petrarca. Nei libri centrali, il secondo e il terzo, abbiamo il riferimento ad argomenti classici dello stoicismo, con l’idea che i cosiddetti beni esterni, la ricchezza, la notorietà, la gloria, siano meno importanti della virtù. Poi, dalla fine del terzo libro, c’è una sterzata, e si passa al tema della felicità in termini neoplatonici: il vero valore sta nel riconoscere che esiste una dimensione trascendente, e nel cercare di avere un contatto con essa. Boezio scrive sapendo di essere condannato a morte e che presto sarà ucciso. Il tema di fondo è: perché esiste un mondo in cui le persone che hanno agito con virtù vengono punite, mentre chi agisce da criminale viene premiato? È un’obiezione naturale, che risale al Gorgia di Platone e alla sofferenza del giusto, e che vediamo anche oggi».
La terapia alla fine funziona?
«Non c’è un passo in cui Boezio dice: “Sono pronto, vedo la realtà in modo diverso”. Alla fine Filosofia lo invita alla preghiera e l’opera si conclude così. Questo ha spinto alcuni studiosi a sostenere che il testo sarebbe ironico, che Filosofia fallisce. Io ho un’idea diversa: Filosofia permette a Boezio di interromperla, di fare domande, di cambiare discorso. Non è una lezione, ma una seduta di terapia, e il terapeuta bravo ascolta, guida, lavora con i problemi. Boezio pensa di essere stato filosofo in senso platonico, è uscito dalla caverna acquisendo la conoscenza e poi ha assolto il suo dovere morale di tornare tra gli uomini e mettere a disposizione il suo sapere nella politica, a rischio di essere deriso o ucciso. E allora si chiede: perché soffro? In una dimensione neoplatonica, c’è la nostra identità biografica, e poi c’è l’anima, che appartiene al mondo divino. Da una parte dunque dobbiamo prenderci cura del nostro essere nel mondo, dall’altra non dobbiamo dimenticare che siamo esseri spirituali. Il dialogo mette in scena in modo drammatico questo conflitto, questa tragedia umana e intellettuale. La mia tesi è che Filosofia non fallisce, ma conduce fin dove può: raggiungere un certo livello di comprensione razionale della realtà, controllare le emozioni, non fare un investimento eccessivo sui beni materiali, per avere una vita più autentica. E questo è un messaggio forte anche dopo un millennio e mezzo».
Chi è Boezio oltre la Consolazione?
«Il filosofo che ha consegnato all’Occidente le traduzioni delle opere logiche di Aristotele in un momento in cui la conoscenza del greco si stava perdendo. Ha dato un fondamento di conoscenza a chi è venuto dopo. Per i successivi sette-otto secoli in Occidente non è arrivato alcun altro testo di Aristotele. Boezio aveva in mente di commentare tutto Aristotele e tutto Platone. La cultura occidentale sarebbe stata completamente diversa senza la logica tradotta da Boezio, come sarebbe stata diversa se avesse avuto tempo di concludere il suo progetto. Traducendo, ha creato un lessico filosofico in latino. È stato un pensatore tardoantico: non l’ultimo degli antichi, né il primo dei medievali. Questo aggiunge fascino e interesse a questo filosofo: ha tramandato opere che sono rimaste praticamente le uniche conosciute del pensiero antico in Occidente per quasi un millennio, ma mettere in salvo il sapere prima della decadenza non era un suo obiettivo conscio».