La Stampa, 21 dicembre 2024
Gabriele Cirilli, tra comicità e fallimento
L’aria è quella scanzonata, di sempre, che ce lo ha fatto amare fin dai tempi di Zelig, al grido di «Chi è Tatiana?». Eppure dietro a quel sorriso largo, da irriducibile entusiasta, si cela «l’ombra del fallimento»: Gabriele Cirilli la chiama proprio così. È la sua più grande paura: l’eco di un dolore paterno che la vita ha trasformato in spettro personale. «Il mio carattere solare per fortuna mi aiuta», spiega il comico e attore la cui carriera non è scevra di successi. Eppure quella vocina – «non ce la farai» – è sempre lì. A zittirla ci pensa anche Carlo Conti: il suo sodale amico e mentore. Insieme hanno fatto tantissimi show, tra cui Tale e quale show, e adesso debutteranno anche a teatro, da domani in Cirilli & Family: Gabriele sul palco, da mattatore; Conti dietro le quinte, in qualità di supervisore artistico. «È stata sua l’idea di questo show», spiega Cirilli. «Parleremo della famiglia, in tutte le sue accezioni, esaltandone difetti e pregi».Da dove arriva questa paura di non farcela?«Sono cresciuto in una famiglia agiata. Almeno all’inizio. Mio padre aveva un laboratorio di marmi, che improvvisamente non ebbe più fortuna. Mia madre lasciò il suo lavoro di rappresentante di merletti per dargli una mano, ma l’unico risultato fu che pure lei finì in quel gorgo. La situazione precipitò: dall’agiatezza passammo alla povertà, e questo fu alla base della malattia di mio papà che, da lì a poco, morì. Da allora vivo nel terrore di poter finire come lui. L’ombra del fallimento mi segue passo passo. Al primo scivolone, o nei momenti di stallo, la sento subito allungarsi verso di me».Una convivenza difficile.«Molto. Spesso quando sto male non sono semplicemente triste: sto proprio a zero. Mia mamma ebbe invece una forza incredibile: si rimboccò le maniche, ci fece anche da padre e si prodigò perché tutti finissimo gli studi. Non ci fece mancare la cosa più importante: l’amore».Il periodo più buio?«Quando morì mio padre. Avevo già intrapreso la strada dello spettacolo (nonostante i miei non volessero) ma ero ancora alla gavetta ed era tosta: non sempre andava come volevo io. Così, quando papà morì, ho avuto mille pensieri: mi chiesi se le cose non sarebbero andate diversamente se lo avessi aiutato. Vivevo sul divano, sporco, la mia ragazza voleva lasciarmi. Poi mi chiamarono per uno spot: ci andrai controvoglia, in tuta, eppure mi presero. Lo interpretai come un segno del destino e mi ripresi. La seconda batosta è stata qualche anno fa, quando è morta mamma».Nella sua carriera ha lavorato a teatro con Piera Degli Esposti e Michele Placido, però per molti resta la star di Zelig. Va bene così o sognava un destino diverso?«Sono soddisfatto. La mia carriera è stata costellata di alti e bassi ma sono diventato un artista a 360°, che si divide tra tv, teatro, cinema. Sono nato dal niente, senza raccomandazioni, spinte o altro».Le delusioni più grosse sul lavoro?«All’ultimo momento non mi presero per Don Matteo. Il regista Enrico Oldoini mi aveva scelto per il ruolo che oggi è di Frassica: feci anche la prova costume e poi tutto sfumò. Fui anche a un passo da condurre Affari tuoi: feci il provino ma non mi preparai come avrei dovuto. Così presero Insinna e non me. Peccato, ma sono felice comunque per Insinna che è un mio grande amico».Un rifiuto di cui invece non si pente?«Da ragazzo quando studiavo con Proietti, il grande Ferruccio Soleri, il più grande Arlecchino di tutti i tempi, mi voleva suo erede. Rifiutai: non volevo vivere un’intera vita con indosso una maschera».In Cirilli&Family coinvolge gli studenti della sua scuola di teatro a l’Aquila. Com’è la situazione oggi lì?«Qualcosa finalmente si muove. Grazie a questa amministrazione, vedo un fermento, sia edilizio che culturale. Anche per questo sono rimasto male per l’ultimo film di Riccardo Milani, Un mondo a parte: lui resta un regista fantastico ma con quest’opera non fa un bel servizio all’Abruzzo. L’Aquila è un’altra cosa».Un insegnamento che dà ai suoi studenti?«Puntate non alle stelle, ma direttamente alla Luna. Se miri in alto, qualcosa prendi sempre; se giochi al ribasso no. Questo però implica impegnarsi: non contano i follower ma lo studio. Per esempio, stimo molto Insinna perché lui studia 24 ore su 24. Lo stesso Proietti era quasi maniacale: provava e riprovava gli scioglilingua, perfezionava la dizione».Ricambierà il favore a Conti andando a sua volta a Sanremo?«Se mi chiamerà e se potrò essere utile, sono pronto. Sono sicuro che il suo sarà un ottimo Festival: all’inizio qualcuno aveva mugugnato, ma solo perché la gente ha la memoria corta. Chi ha fatto davvero la rivoluzione all’Ariston è stato lui: ha aperto per primo al rap e ai giovani, confezionando tre edizioni impeccabili. Amadeus ha portato avanti il suo lavoro».