La Stampa, 21 dicembre 2024
Scajola, il "dinosauro" che dà consigli alla Meloni
Complicata l’agenda di Claudio Scajola: riunione di giunta, scolaresca, gente fuori dalla porta. Insomma, alla fine deve spostare l’appuntamento successivo: «Perdoni l’attesa, ma il territorio ha i suoi tempi…». Lo dice compiaciuto: «Sa, la politica vera in fondo è questa». Partiamo da lui, 76 primavere, quattro volte ministro, sindaco di Imperia dal 2018, king maker della vittoria di Marco Bucci in Regione, per una serie di conversazioni su potere, poltrone e come si conservano.Scajola, lo ammetta: si sente un po’ un dinosauro?«Non molto, perché quando mi ritirai, in attesa di concludere le mie vicende giudiziarie, avevo 62 anni».Poi però tornò come sindaco di Imperia.«Con una lista civica, piena di giovani, senza simboli di partito. Mi sento trent’anni di meno. Però forse, per stare al gioco, un po’ dinosauro lo sono».Ah ecco.«Per citare il vangelo di Giovanni, direi che “sono nel mondo, ma non di questo mondo”. Appartengo a un periodo dove la politica aveva la P maiuscola, oggi siamo in decadenza. Mi fa paura questa politica urlata: poche idee, molto screditamento dell’avversario».Cosa è per lei il potere?«Quando uno dice che il potere è servizio per far crescere una comunità, tutti ridono. Io preferisco far ridere ma riaffermare questo concetto».Ha attraversato tre Repubbliche. Chi lo esercita oggi il potere?«Non gli eletti dal popolo, ma altri che condizionano la vita politica: burocrazia, magistratura che straborda, finanza internazionale».Scusi, ma con questo governo non era tornato il primato della politica?«È tornata la connessione col popolo e anche col popolo delle periferie, dove una volta vinceva la sinistra. Il tema del Potere è più complicato, prima va ricostruita la politica».Rivoterebbe il Porcellum?«No, fu un errore che andava bene a tutti, anche alla sinistra con cui Verdini fece sostanzialmente un patto. Infatti poi nessuno lo ha cambiato. Risultato: un Parlamento di Carneadi messi lì per fedeltà ai capi, più che per quello che rappresentano nei territori».Lei il potere lo ha perso e riconquistato più volte: la gaffe su Marco Biagi, la casa a “sua insaputa”, le dimissioni da ministro. Come si fa a risorgere?«Più che perso, vi ho rinunciato. Ogni volta, ho fatto un passo indietro in attesa che ogni cosa fosse chiarita. Pensi che sulla casa al Colosseo, quando mi sono dimesso, non avevo neanche una comunicazione giudiziaria. Poi al processo sono stato assolto».Vecchia scuola: fare i passi indietro, mai intignare.«Bisogna saper perdere… E poi: piedi per terra. Il mio rifugio è sempre stata la mia famiglia. E la mia città, che non mi ha mai tradito».La presidente del Consiglio attacca con virulenza Romano Prodi, 85 anni. Come se lo spiega?«Perché Prodi è comunque una persona di peso, prestigio internazionale, che ha influenza nell’opinione pubblica. Anche qui, a proposito di dinosauri: le storie vere hanno una durata».Però?«Beh, ecco, da estimatore di Giorgia Meloni preferirei che il presidente del Consiglio mantenesse un aplomb connaturato al ruolo che ricopre più che una postura da capo partito. È brava, preparata, senza scheletri, ma secondo me chi sta al governo dovrebbe essere un po’ più istituzionale come Tajani».Lei ha mai querelato un giornalista?«No. Per cultura e formazione penso che quando c’è baraonda bisogna fare come il bravo velista col mare mosso: apre il tambuccio, un filo di vela, si mette al riparo e aspetta che la mareggiata finisca».Scuola democristiana purissima.«Mi sento profondamente democristiano, come mio padre. La mia madrina di battesimo era Maria Romana De Gasperi e il mio padrino di cresima Paolo Emilio Taviani. Berlusconi mi chiamò anche per questo».Lei fautore del partito pesante, mentre Dell’Utri teorico del partito di plastica.«E col partito pesante tornammo a vincere nel 2001. Questo fu il congresso di Assago: manifesto di valori, regole, rapporto col territorio. Quella Forza Italia non era solo la cassa di risonanza di un grande leader. Aveva un corpo».Nostalgia?«La lezione è attuale. Ricordo quando con Berlusconi andavamo nei posti, per costruire il partito. Io faccio ancora così, nel frattempo sono cambiati i partiti».Fu anche lei a convincerlo ad entrare nel Ppe, giusto?«Non solo io. Ricordo bene nel ’97 il confronto con Berlusconi, Tajani, Martino e Urbani. Con Antonio spingevamo sulla necessità di entrare nel Ppe. Non potevamo continuare ad essere un “civico europeo”. Martino una volta si alzò dicendo. “Non morirò democristiano!”. Poi si convinse. E, grazie a Berlusconi e Tajani, diventammo protagonisti dei Popolari europei».Dica quale è la forza e quale la debolezza di Giorgia Meloni.«La forza è la giovinezza e la capacità di essere una lavoratrice instancabile a servizio dell’Italia. La debolezza è che deve allargare la sfera della sua classe dirigente, oltre la cerchia storica della destra Italiana».Per durare si deve allargare, ci risiamo con la lezione democristiana.«Lo fece con Fitto e Crosetto. Mi pare che ultimamente stia stringendo la sua cerchia un po’ troppo».Rischia il logoramento da troppo potere in una cerchia troppo stretta?«Si logora se non rompe con la logica da capo partito e continua a esporsi in questo modo».Consiglio?«Uno scatto da grande leader come quando Berlusconi fece il Predellino, aprendo ancora di più. Geniale. Ma lei lo sa che nessuno di noi sapeva niente?».Quanto dura Giorgia Meloni?«Uno dura nel tempo per tutto il tempo in cui non ci sono alternative. Elly Schlein, in tal senso, è la sua migliore alleata».Che cosa consiglierebbe a Schlein?«Se proprio devo… Di fare politica. Oscilla tra la rincorsa al grillismo e il ruolo di portavoce dei metalmeccanici. Così puoi fare opposizione, ma non ambire al governo».Rischia la poltrona?«Finché va bene come partito no. Le liste, ad oggi, le fa lei. E per quello che ci siamo detti prima sul Porcellum, se uno la sfida fa la fine del famoso tacchino col Natale».Come vede questo dibattito sul centro nel centrosinistra?«Segnala un’inquietudine nel Pd su questa linea troppo di sinistra. Ma è astratto e inconcludente. Diceva sempre Giulio Andreotti: “Non guardate le percentuali, guardate i voti assoluti”. Dieci anni fa per vincere le elezioni si dovevano prendere circa 19 milioni di voti. Oggi si vince con 13 milioni e mezzo Paese non vota. Il dibattito andrebbe fatto su questo e riguarda tutti».Anche Forza Italia?«Tajani sta facendo un lavoro egregio. Ma può crescere ancora».Ma non è che al prossimo giro la incontro in Parlamento?«Assolutamente no. Amo la mia terra e voglio continuare a servirla. E poi andare e tornare da Roma è una fatica. Sono più utile qua». —