la Repubblica, 21 dicembre 2024
Riapre la Galleria del Vasari
di Francesco M. CataluccioSin da quando il babbo ci portava quasi ogni domenica a visitare gli Uffizi, le volte che riuscivamo, grazie alle sue conoscenze (un custode di origini siciliane come lui), ad entrare nel Corridoio Vasariano, avevo sempre l’impressione di trovarmi dentro la carlinga di un aereo che sorvola a bassa quota Firenze.Un percorso di 760 metri dal corridoio di Ponente degli Uffizi, dove inizia, fino all’uscita accanto alla Grotta del Buontalenti nel Giardino di Boboli, dove termina. In questo tratto il Corridoio sorpassa le vie, costeggia l’Arno e lo attraversa, entra nei palazzi, accerchia la Torre de’ Mannelli, si affaccia nella Chiesa di Santa Felicita, in un susseguirsi di sguardi sulla città che permetteva ai Granduchi di catturarne la bellezza e di esercitarne il controllo.Passando attraverso la seconda porta del corridoio di Ponente della Galleria (tra le antiche statue di Mercurio e Esculapio), imboccavamo quelle scale che furono colpite dalla bomba mafiosa in via dei Georgofili che, nel 1993, costò la vita a cinque persone. Allora furono danneggiati anche diversi dipinti lì appesi, tra i quali un quadro che amavo molto: Giocatori di carte del caravaggescoBartolomeo Manfredi, solo da poco restaurato.Per 760 metri ci si inerpicava a zig-zag per i tetti, passando sopra le botteghe del Ponte Vecchio e persino sopra il loggiato della facciata della chiesa di Santa Felicita, fino al Giardino di Boboli, nella Sala della Tazza, nell’ala sinistra del piano nobile di Palazzo Pitti dove c’è la Galleria Palatina: una splendida quadreria voluta dai Lorena (e realizzata nel periodo a cavallo tra la fine XVIII e gli inizi del XIX secolo) per sistemare la parte del grande patrimonio artistico dei Medici che nonaveva trovato posto agli Uffizi.La cosa che a me e a mio fratello Giovanni piaceva di più era sbirciare, non visti, attraverso la pesante cancellata sul balcone, le vecchiette che pregavano là sotto nella chiesa di Santa Felicita (che fu la sede della prima comunità cristiana della città), mentre il babbo cercava di attirare la nostra attenzione sullaDeposizione e l’affresco, sempre al buio, dell’ Annunciazione del Pontormo.Il babbo, che era uno storico e sentiva sempre il bisogno di raccontare a lungo le vicende di ogni cosa o persona, ci spiegava che il Corridoio Vasariano, chiamato inizialmente “Corridoio del Principe”, fu commissionato, nel 1565, da Cosimo I al Vasari, in concomitanza del matrimonio tra suo figlio Francesco e Giovanna d’Austria, e realizzato in pochi mesi. Doveva servire da collegamento tra la vecchia residenza (Palazzo Vecchio), la Galleria degli Uffizi e la nuova residenza ducale (Palazzo Pitti), dall’altra parte dell’Arno. È il più limpido e veritiero specchio del rapporto tra architettura e potere. Vasari trovò problemi solo nel far passare il corridoio nella torre de’ Mannelli all’estremità del Ponte Vecchio, per la ferma opposizione della famiglia proprietaria della torre: dovette quindi girarci intorno tramite un sistema di mensolette per sostenere i capi delle travi fissate nel muro (detti “beccatelli”). Il primo tratto del Corridoio, che costeggia l’Arno, poggia su un loggiato (che con la sua serrata concatenazione delle arcate a tutto sesto ricorda gli acquedotti romani) sopra il Lungarno degli Archibusieri, che era zeppo di botteghe.Ma soprattutto, sul Ponte Vecchio e nelle zone limitrofe c’erano negozi di carni e di pesce che puzzavano maledettamente. Così, per evitare cattivi odori al suo passaggio, il granduca Ferdinando I de’ Medici emanò un decreto, il 27 settembre 1594, per sostituire quelle botteghe con quelle inodori degli orafi, che ancora oggi occupano il ponte.In realtà, molto rapidamente, quel corridoio divenne poco utilizzato. Vi furono esposti quindi i grandi teleri monocromi dei cicli dinastici che, durante le esequie, venivano mostrati nella Chiesa di San Lorenzo, per ricordare le relazioni di parentela e d’alleanza dei Medici con i potenti d’Europa. In seguito fu adibito a deposito di quadri del Sei-Settecento, di iconografia dei Medici e dell’aristocrazia europea. Poi, sempre più, il Corridoio è stato considerato un po’ un magazzino per dipinti “meno nobili”, seppur importanti.Fino al 2016 esponeva una bellissima collezione di autoritratti. Quel tratto del Corridoio lo percorrevo quasi correndo perché, in quegli stretti spazi, mi sembrava che i ritratti, da ogni parte li osservavo, mi guardassero. Quei centinaia di occhi li sentivo sempre fissi su di me e, anche quando li lasciavo dietro le mie spalle, avevo la rabbrividente sensazione di averli addosso.