la Repubblica, 20 dicembre 2024
L’Appia Antica patrimonio dimenticato
Signor ministro Giuli, come può immaginare, siamo politicamente antagonisti. Ma quando c’è di mezzo l’Italia, come dire un patrimonio unico al mondo per il suo carico di storia e bellezza, allora non possono esserci né schieramenti né differenze di approccio. Il che mi consente, anche con lei, di usare il “Noi”. Noi come italiani.Si tratta della via Appia, che più di nove anni fa – per conto di questo giornale – ho ripercorso a piedi nella sua interezza con tre specialisti, da Roma a Brindisi, strappandola all’oblio, allo scopo preciso di riconsegnarla al Paese. Per questo abbiamo offerto al suo ministero la nostra dettagliata relazione sul percorso, ottenendo un’attenzione immediata, entusiastica e soprattutto operativa. Anche a livello di funzionari.Ne è nato – per volontà governativa – un progetto di rivalutazione, adeguatamente finanziato, capace di fare della Via numero Uno qualcosa di ben più grande del rinomato Cammino di Santiago. E noi della pattuglia di punta, trascinati dall’entusiasmo, ci siamo messi a disposizione del ministero, realizzando libri in più lingue, film, conferenze, mostre e incontri con oltre diecimila persone lungo tutto l’itinerario.Da allora, però, le cose si sono mosse con esasperante lentezza, e non solo per un fatto di procedure, per l’effetto della pandemia sul costo dei materiali, o per i continui cambi di maggioranza politica a livello nazionale che obbligavano a ricominciare ogni volta quasi daccapo, ma anche per i cavilli tipicamente italiani e le opposizioni delle periferie.Nello stesso tempo, per assenza di tutela, la via si è ulteriormente deteriorata in più punti, causa aggressioni del cemento, di discariche o recinzioni abusive. Al punto che oggi il riconoscimento dell’Unesco conferito a tratti della via come “patrimonio dell’umanità” rischia di piovere su aree degradate, facendo fare all’Italia una pessima figura.Le confesso che quando il suo partito ha vinto le elezioni e ha avuto il compito di formare il governo, mi sono detto: chi se non una forza politica che ha il mito della romanità potrà finalmente portare a termine questa sfida. Un magro fattore di consolazione per chi si trova politicamente dalla parte opposta, ma pur sempre una consolazione.Per questo, dopo numerosi e inutili tentativi di contatto con Lei e il suo predecessore, mi sono deciso a scriverle pubblicamente. Per dirle che ora, adesso, proprio Lei, Lei e solo lei, ha in mano l’occasione unica di sbloccare un cammino di valore mondiale, il cui valore politico, simbolico e civile non credo si possa sottovalutare.Qui è in gioco molto, ma molto di più di un semplice cammino. L’Appia ha uno smisurato valore aggiunto. È un marchio mondiale, conosciuto fino in Giappone se non altro dal nome, un bisillabo perfetto, che è già da sé un “brand”.Questa è una strada che affascina per la sua ineguagliabile intelligenza di linea e di adattamento alle isoipse del territorio; è una direzione maestra che apre alla via Egnazia e, attraverso i Balcani, alla Via della Seta. Ha profumo d’Oriente e sancisce l’importanza dell’Italia nel Mediterraneo. Dice molto del nostro destino.L’Appia capovolge il detto secondo cui “tutte le strade portano a Roma” e dice che semmai tutte le strade “partono” da Roma. Ci strappa dal provincialismo. Dischiude orizzonti, fa geopolitica. Lei sa meglio di me che la grandezza di ciò che fu l’Italia si misura meglio in posti come Baalbek o Leptis Magna.La strada di Appio Claudio Cieco è un portale d’accesso a meraviglie archeologiche, culturali e d’ambiente; un viaggio affascinante, anche, nella crescente effervescenza paesaggistica e tellurica del Sud. È una linea di ricognizione e pattugliamento; una rivendicazione di libero accesso a spazi troppo spesso usocapiti da privati o mafie locali.La Regina delle vie riabilita la storia romana, la toglie dal sospetto di essere una scoria del Ventennio, la rende narrabile anche ai bambini; riassume tremila anni di storia, è al tempo stesso un cammino laico e religioso, militare e commerciale, ed è percorribile nei due sensi, dando vita a due narrative diverse. Nessun altro cammino europeo è tale.Ma c’è dell’altro. Essa offre al Meridione un segno forte di appartenenza comune, lo strappa dal complesso di marginalità, gli offre un mito alternativo a certe nostalgie borboniche. L’Appia schiude anche al viaggiatore a piedi un’Italia non contaminata dal turismo di massa, ci conduce nei profumi più autentici del Paese del buon incontro. Offre un modello di turismo “dolce” alternativo al Colosseo.Ma soprattutto l’Appia nobilita e chiama a racconta la parte migliore del Paese. Anche all’interno del suo ministero c’è chi ha seguito con passione la vicenda del rilancio del Cammino. Per tutti questi motivi la Via Regina è anche uno strumento formidabile di consenso.Non credo che la retorica del nemico, di cui abbonda Fratelli d’Italia, possa arrivare a un livello di autolesionismo tale da buttar via una simile occasione. Politicamente, mi costa molto ricordarglielo. Ma ripeto, qui c’è di mezzo l’Italia. Non certo un mio interesse o una vanteria personale.Riaprire l’Appia all’Italia e al mondo significa innescare un circolo virtuoso attraverso la chiamata in causa delle comunità locali e soprattutto delle scuole. Le pietre antiche parlano, e parlano ancor meglio se qualcuno le sa raccontare. Ma per raccontarle ci vuole qualcuno che le calpesti e segua la metrica del passo. Come Orazio nella memorabile cronaca del suo viaggio a piedi nella quinta satira del primo libro.In un recente incontro ospitato a Roma dal suo stesso ministero, abbiamo verificato che i soldi ci sono, la visione sul da farsi è finalmente condivisa e le divergenze fra i diversi soggetti interessati sono finite.Tutto le è favorevole: abbiamo su di noi i riflettori dell’Unesco, e a nostro favore la velocizzazione delle procedure propiziata dal Pnrr. Ma abbiamo soprattutto dalla nostra l’attesa del Popolo dell’Appia, come mi piace chiamare la parte migliore dell’Italia che abbiamo incontrato soprattutto nel Centro-Sud: quell’Italia che ha visto nella riattivazione della strada romana un segno dello Stato, in territori dove a comandare sono spesso i feudatari locali, se non le camorre.L’Appia s’ha da fare. C’è una forte aspettativa che non può essere delusa. E se non si farà, allora – come mi ripete spazientito il più grande camminatore italiano, Riccardo Carnovalini, che mi ha accompagnato nella traversata del 2015 – mi toccherà tornare sulla strada con pennello e vernice rossa per segnare il tracciato, chiamando a raccolta quell’Italia che s’è voluta ignorare. E anche quegli stranieri che da dieci anni mi chiedono se il Cammino è percorribile ed è arrivato il tempo di partire.Non sono persona da caffè letterari. Sto tra la gente, e dopo aver sondato gli umori di tanti, posso dirle che il tempo sta scadendo. Ora, per citare nuovamente Orazio (Odi,1, 37, 1), “pede libero pulsanda tellus”, è tempo di battere il terreno con i piedi. Le grandi vie che fanno l’Europa non sono nate da provvedimenti governativi ma anche dalle scarpe della gente.