Il Messaggero, 19 dicembre 2024
Persa la Siria, Putin vuole la Libia
Mezzi ammassati lungo il molo di Tartus in attesa di essere caricati sulle navi. Convogli con decine di camion che dai vari avamposti si sono diretti verso la costa. Nella base aerea di Hmeimim, vicino Latakia, decine di veicoli sono ordinati come se dovessero essere imbarcati sui cargo. E vicino a loro, aerei da trasporto pronti al decollo. Gli stessi che da qualche tempo fanno rotta da e verso la Russia o in direzione della Libia. Le immagini satellitari e i filmati che arrivano dalle basi russe in Siria parlano chiaro: Mosca si prepara al grande ritiro. Uno scenario che gli esperti avevano previsto non appena Bashar al-Assad è stato deposto dai ribelli ed è stato costretto a fuggire proprio nella capitale russa.
Al Cremlino speravano di poter trattare con Abu Mohammad al-Jolani. I comandi russi avevano rassicurato che non c’era motivo di credere che le loro basi sarebbero state smantellate. Il viceministro degli Esteri, Mikhail Bogdanov, aveva detto che i colloqui con Hayat Tahrir al Sham stavano procedendo «in modo costruttivo». «Tutto sarà deciso attraverso il dialogo», aveva detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Ma la strada per mantenere in vita le due basi di Tartus e Latakia inizia a farsi sempre più in salita. E mentre i russi hanno già abbandonato gli avamposti nel nord, nel sud e nella parte centrale della Siria, il timore è che resti poco tempo anche per i due hub sulla costa. Il pressing occidentale su Jolani e sul governo di transizione è alto, anche con richieste esplicite di chiudere l’alleanza con la Russia. E pure i nuovi padroni di Damasco hanno iniziato a essere chiari con Mosca sul fatto che dovrà rivedere i suoi piani per la Siria. Vladimir Putin, a questo punto, può fare poco. Sperare nei ribelli è una scommessa rischiosa: la Russia è ancora vista come la potenza che ha salvato Assad nella guerra civile e che già era alleata del padre, Hafez. E proprio per questo motivo, Putin e i suoi comandanti hanno iniziato a guardarsi intorno da subito. Perdere le basi lungo la “costa alawita” può essere un colpo durissimo. Ma intanto bisogna cercare di capire come attutirlo, individuando un altro luogo nel Mediterraneo dove fare approdare navi e aerei. Il luogo prescelto, per il momento, sembra la Libia orientale. Quella Cirenaica dominata da Khalifa Haftar e in cui i russi sono di casa da anni. Da quando è caduto Muhammar Gheddafi, lo “zar” ha capito che il caos libico poteva fare il suo gioco. In mezzo al Nord Africa, al centro del Mediterraneo e a qualche centinaio di miglia da Grecia e Italia (e quindi dalla Nato), la Libia è il luogo ideale per mettere pressione all’Europa e creare un ponte anche per il Sahel, dove la Russia ha messo le mani. Prima sono arrivate le forze speciali. Poi è arrivata la Wagner. Poi gli aerei ad Al Khadim e infine le navi, ormai ospiti fisse a Tobruk. Una vera escalation, confermata dai viaggi di Haftar a Mosca, ma soprattutto da quelli sempre più frequenti di Bogdanov a Bengasi.Ora, con la caduta di Assad, la Cirenaica è tornata al centro di pensieri dello zar. Fonti libiche e statunitensi hanno rivelato al Wall Street Journal che i cargo russi hanno già iniziato a spostare contraerea, S-400 e S-300 dalla Siria alla Libia orientale. Alcuni aerei hanno fatto tappa ad Al Khadim dopo essere partiti dalla Russia e dalla Bielorussia. E l’intelligence sospetta che adesso il Cremlino voglia potenziare il porto di Tobruk o quello di Bengasi. Un tema che preoccupa soprattutto la Nato e l’Italia.
Martedì, l’allarme era stato lanciato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto. «Mosca sta trasferendo risorse dalla sua base siriana di Tartus alla Libia. Non è un bene. Navi e sommergibili russi nel Mediterraneo preoccupano sempre, a maggior ragione se invece che a mille chilometri sono a due passi da noi», aveva detto il ministro. Un problema di non poco conto, viste anche le frequenti attività della Marina di Putin nel Mare Nostrum. Negli ultimi giorni, la nave-spia Yantar, quella che si occupa anche dei cavi sottomarini, è entrata nel Mediterraneo innescando una vera e propria “caccia” fino nel Tirreno. E, come ha raccontato il sito di monitoraggio Itamilradar, gli Stati Uniti in queste ore hanno condotto diverse operazioni per controllare le coste libiche. L’ultima con un drone partito dalla base di Sigonella e che ha osservato le mosse russe volando al largo di Bengasi.