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 2024  dicembre 19 Giovedì calendario

Se il male è una scelta

E se il Male, quello scritto in maiuscolo, fosse comprensibile e vero solo per chi l’ha vissuto? Che sia truce cronaca nera o massacri collettivi, guerre feroci o femminicidi, il male inflessibile e senza rimedio è davvero mistero e stupore, sembra incomprensibile per chi se lo trova davanti non collocato in un lontano passato ma come racconto immagine atto giudizirio. Perfino per chi ci viveva accanto o aveva tutti gli strumenti per capire cosa stava accadendo. Quando si materializza in quello che è, cieco dolore e ineffabile vergogna per l’uomo, per ogni uomo, allora la frase è: non potevamo immaginarlo.Come non pensare agli i orribili stupri di Mazan, ai parenti della vittima, che sostengono: «Non potevamo immaginare l’inimmaginabile». Eppure il male non è costituito da insormontabili parole ma da atti, gesti, eventi che quando sono compiuti da popoli interi, diventano e si chiamano Storia. Quante volte ci siamo scusati di non aver fatto nulla davanti agli orrori del presente dicendo che non potevamo immaginare l’inimmaginabile?Sì. Personalizzo. Da trent’anni quel Male lo attraverso in diversi luoghi del mondo con l’ansia di stupirmi e lo cerco per guardarlo negli occhi e costringerlo a svelare il suo volto duro, fosco; e quando torno e racconto mi accorgo che la gente mi guarda, educata, perplessa, dubbiosa e si vede che sospetta le tinte fosche del romanzo, la tentazione del “grand guignol” («dai non è possibile… gli uomini non possono far questo... succedono queste cose oggi?»). Allora pensi che sei come le vittime, totalmente solo, e sei come loro costretto a inchiodare i denti, il grido, lo strazio e il dolore. E che il mondo è davvero diviso in tre parti, i carnefici, le vittime e gli spettatori; e questi ultimi sono gli unici che hanno la possibilità di ritrarsi. E se il trucco del Male, la sua grande astuzia, fosse proprio la nostra infinita, perversa mancanza di immaginazione? Ci vorrebbero dunque parole incandescenti. Ma chi le possiede?Ho raccontato di un uomo che ho conosciuto in Siria, un ribelle: un guerrigliero, si sarebbe detto una volta. Uccidere era la sua maledizione e la sua vita. Non solo uccidere. Spiegava che ciò che è importante è uccidere infliggendo dolore, prolungando il dolore: «una raffica di mitra il coltello che straccia la gola… troppo facile, un attimo non c’è tempo per soffrire fino in fondo».E così spiegava, con esempi, come avesse negli anni costruito una sua tecnica per prolungare la sofferenza fisica, un modo per moltiplicare la tortura mantenendo la vittima viva e soprattutto capace ad ogni secondo di provare la totalità del male che gli veniva inferto.Quell’uomo non appartiene forse integralmente al terzo millennio come i tranquilli aguzzini di Mazan? Quanti uomini come lui erano addetti alla fabbrica dell’olocausto, hanno scavalcato il confine israeliano il 7 ottobre per assalire i kibbutz o guidavano un plotone di soldati a My Lai o a Bucha o purificavano a marce forzate il mondo in lugubri pastrani a Phnom Penh e a Raqqa?Eppure chi mi ascolta pensa che sia ‘"l’inimmaginabile’’, che il record che si vantava di tenere in vita per una settimana la sua fascia di ossa muscoli nervi e dolore, fosse in quanto tale fuori di noi, che ci esentasse dalla colpa di averlo visto e accettato. L’orrore che è parte dell’uomo e porta la sua inconfondibile firma è l’eterno assente, l’invitato che non invitiamo, il vuoto che non riempiamo. È una omissione e tuttavia è sempre presente. E il nostro segreto, la nostra omertà, e il nostro rimorso. A che punto è la notte, chiedeva il profeta di Giudea.Basta abbassare le palpebre perché l’orrore ti prenda in pugno e ti porti indietro. Là, niente è cambiato. Esiste un livello di esistenza e di violenza in cui nulla cambia mai.Il mio miliziano mi è tornato in mente in questi giorni di svolta in Siria, per il fiume di racconti che trasbonda dalla prigione degli Assad vicino a Damasco. I sopravvissuti estratti dalla notte raccontano le torture subite, la fantasia sadica in cui nelle celle si esercitava l’infinita manualistica dei torturatori. Ecco che spunta l’inimmaginabile: tutto viene raccontato come se fosse un mostruoso segreto che solo la caduta del regime ha portato alla luce, ci si stupisce, si inorridisce. Eppure queste storie terribili sono tragicamente vecchie, raccontate, minuziosamente, ogni tortura e ogni infamia, fin ai tempi del padre di Bashar Assad, mezzo secolo fa. Nel silenzio. Forse che non potevamo immaginare l’inimmaginabile? «Alcuni di coloro che erano passati da quel carcere li ho conosciuti, combattevano contro il regime, era il loro momento di prendersi la rivincita: le torture che ora infliggiamo agli uomini di Bashar che prendiamo prigionieri le abbiamo imparate lì: è niente perdere una vita in Siria, è una cosa normale, questo è il nostro mondo, siamo morti e poi siamo resuscitati... non ci credi, non mi capisci’». Poi ho capito.Viviamo nel secolo delle pulizie etniche, dei Campi di rifugiati, degli stermini e della “murder story”. Ma tutto funziona come se il Male non esistesse, tutto l’abolisce, i discorsi dei politici, la pubblicità l’allegria a basso costo. Non potevamo immaginare che... Ma poi spuntano luoghi e storie dove emergono uomini il cui talento è uccidere e sono dannatamente bravi a farlo, sagomati da questo orrore cocente. Uno di questi uomini mi ha raccontato che un tempo aveva un cane e si divertiva a fargli del male, a sentirlo guaire. Non era pazzo, mi spiegò, era solo il modo con cui tentava di far pagare a quel povero animale il tormento che aveva dentro. Portava negli occhi l’inimmaginabile.