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 2024  dicembre 19 Giovedì calendario

La versione di Valditara sul caso Lagioia

Ministro Giuseppe Valditara, secondo lo scrittore Nicola Lagioia criticare e prendere in giro i potenti fa parte della democrazia. E lei stesso ha più volte affermato che la libertà di espressione è sacra. Perché allora citare in giudizio Lagioia che criticava un suo tweet?«Scriveva Francesco Bacone: “calunniate senza timore: qualcosa rimane sempre attaccato”. Ogni persona corretta, e pure il pensiero liberale, distingue nettamente fra la critica politica e l’offesa e l’ingiuria, tanto è vero che qualsiasi ordinamento liberale prevede sanzioni penali e civili contro colui che diffama o ingiuria. Invito a rileggere le chiare parole di Kant sul significato morale del divieto di offendere e le parole altrettanto chiare dell’articolo 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali a proposito delle sanzioni per chi offende l’altrui reputazione. Dunque, citare in giudizio per offese ricevute è un diritto del cittadino. Piuttosto ci sono molti politici e giornalisti che confondono il diritto di critica, sacrosanto, con quello di insulto. Il primo attiene ad una libertà costituzionalmente garantita, il secondo alla violazione di un principio di rispetto della persona, altrettanto costituzionalmente garantito».Lei cita Kant e Bacone, Lagioia sostiene che il suo attacco denota fragilità e che, se si è permalosi, non si può fare il ministro.«Non sono affatto permaloso tanto è vero che nella quasi totalità dei casi non reagisco agli insulti, ma credo fermamente nella cultura del rispetto e qui era in gioco la deliberata delegittimazione di un ministro dell’istruzione con una accusa del tutto falsa. È curioso che in passato illustri segretari democratici come D’Alema e Renzi abbiano sporto numerose querele senza che la stampa di sinistra si indignasse. Forse l’ingiuria è un metodo di lotta politica riservato alla sinistra. Aggiungo a questo proposito che è piuttosto chi ricorre all’insulto che denota idee deboli. Più in generale chi è liberale attacca le idee, anche in modo duro, chi esprime un atteggiamento totalitario – e i comunisti erano maestri in questo – cerca di screditare sul piano personale l’avversario, di deriderlo, di delegittimarlo moralmente».E quindi stavolta lei ha reagito. Querela ma nessuna richiesta di mediazione, ha raccontato Nicola Lagioia.«È stato detto il falso: che io avrei querelato Lagioia. Siccome non credo che in questi casi si debba coinvolgere la magistratura penale, mi sono limitato a offrire una mediazione civile a Lagioia per trovare una soluzione concordata. In quella sede mi sarebbero bastate le sue scuse. A questa mediazione Lagioia non si è presentato. Ha dichiarato di non aver ricevuto la comunicazione: se non fosse stata inviata non sarebbe stato possibile procedere oltre. Come risulta dagli atti, la raccomandata è stata regolarmente spedita al suo indirizzo. A questo punto non restava che la causa civile con una richiesta di risarcimento, peraltro assai modesta, di 20 mila euro, che, se il giudice riterrà di riconoscere, devolverò a qualche scuola che fa programmi di recupero per giovani immigrati che non conoscono la nostra lingua».Da quando siete al governo i casi di persone colpite per le loro parole sono molti, da Christian Raimo a Giulio Cavalli e Luciano Canfora. Non sopportate la satira o è allergia a certe parole?«Il caso Raimo non c’entra nulla. Il ministro non ha alcun potere disciplinare contro un docente. In quel caso l’iniziativa è stata di un organo burocratico dell’Ufficio scolastico regionale del Lazio e il giudizio è stato dato da un collegio composto da tre persone sulla base della violazione di alcune regole del codice disciplinare. Così come non c’entra nulla la satira. Non ho mai agito giudizialmente contro uno scritto o un video apertamente satirico, e La Stampa ne contiene parecchi contro di me. Qui non si tratta di satira, che ha una sua storica dignità: Lagioia è intervenuto in un dibattito screditando, non facendo satira».Non pensa che avrebbe potuto scrivere meglio il suo tweet?«Ben tre illustri linguisti hanno a suo tempo pubblicamente dichiarato che quel tweet era corretto dal punto di vista grammaticale. Fra questi addirittura il presidente onorario della Crusca. Lagioia non si è limitato a sostenere che il tweet era sgrammaticato – opinione quanto meno discutibile, ma che ovviamente non sarebbe un attacco alla persona– ma che io proprio non conoscerei la lingua italiana. L’affermazione appare come una offesa del tutto gratuita, e pure falsa e del tutto inconferente con l’oggetto del dibattito in cui è stata pronunciata».Lagioia l’accusa poi di sprecare denaro per le cause di diffamazione.«Chiarisco, contrariamente a quanto scritto da qualcuno, che l’avvocato che mi segue non è pagato dal ministero, ma da me. Descrivermi come un “potente” che prende di mira un “poverino” è demagogia che altera la realtà dei fatti: non controllo la magistratura, non controllo i giornali – che anzi in alcuni casi hanno fatto di Lagioia un martire-, non uso soldi pubblici, ma pago di tasca mia. Infine, se si ha fiducia nella magistratura non vedo il problema. Lagioia potrà dimostrare le sue ragioni. Sdoganare l’insulto, l’offesa, non è degno di un Paese civile, di una mentalità liberale e non è quanto cerchiamo di insegnare ai nostri ragazzi nelle scuole: la critica alle idee e al potere è il sale della democrazia, che pretende nel contempo il rispetto verso ogni persona. Se accettiamo la cultura dell’insulto e della diffamazione contribuiamo all’imbarbarimento della nostra società»