Corriere della Sera, 18 dicembre 2024
Vienna 1946, cronache dal caos
Ho incontrato per la prima volta Hilde Spiel a Trieste, a casa di una famiglia amica dei miei genitori; nonostante la differenza di età abbiamo avuto subito molte cose da dirci e ci siamo poi rivisti più volte in occasione delle periodiche riunioni della società letteraria di Darmstadt, una delle più vivaci della Germania. Non dev’essere stato facile per lei rivedere, dopo tanti anni, la Germania; e ritornare in Austria, che aveva avuto la fortuna e il grande dolore di poter abbandonare in tempo prima che cadesse nelle mani dei nazisti al potere.
All’inizio del suo intenso, notevolissimo libro, Vienna anno zero – che redige prima in lingua inglese, traduce poi in tedesco verso la fine degli anni Sessanta, uscito ora in versione italiana nell’ottima, vigorosa traduzione di Enrico Arosio per l’editore Keller – Hilde Spiel, cittadina inglese dal 1941, corrispondente di guerra e scrittrice, percepisce quasi fisicamente, nella sala dell’aeroporto militare di Francoforte con indosso la divisa del British Army, la diversità della folla in attesa rispetto al suo stato d’animo. E si chiede – consapevole dell’insensatezza della domanda – cosa ci stia facendo tutta quella gente, mentre lei sa bene cosa sta facendo; si chiede quanto sia cambiato quel suo mondo, se esista ancora qualcuno dei suoi amici di cui non ha notizia, ad esempio quella ragazza che l’aveva ospitata; se persone che conosceva siano state deportate o no, se siano sopravvissute. Hilde Spiel riesce a far parlare una vasta e terribile realtà come fosse una descrizione oggettiva che non altera i particolari bensì è attenta ai dettagli dei colori di una stanza o dei paesaggi, ai tempi dell’accadere e del raccontare, delle illazioni sui fatti anche minimi. Il mondo, la Storia, la realtà stanno cambiando la vita.
Hilde Spiel arriva sino alla soglia di questa oggettività impossibile. È stato Primo Levi a raccontare Auschwitz senza tacere una virgola di ciò che è accaduto e narrandolo con un’umanità totale che fa di Se questo è un uomo uno dei vertici assoluti dell’umano. Se nella valle di Giosafat ci sarà chiesto cosa ha fatto l’umanità negli evi della sua storia potremmo mostrargli quel libro così conciso, in cui c’è tutto, l’umano e il disumano. Assieme a un altro libro – che porta l’introduzione di Levi – Comandante ad Auschwitz, relazione autobiografica scritta in carcere, in attesa di esecuzione, da Rudolf Höß, documento che non tralascia alcun dettaglio, né l’orrore dei carnefici né il coraggio delle vittime.
Hilde Spiel si muove con grazia e con rigore nella vita anche ardua e impietosa. Vienna anno zero è probabilmente il suo libro più vivo e più vero. Tanti personaggi attraversano le sue pagine, nessuno con una spiccata grandezza che si imponga agli altri, ma ognuno con un suo carattere che il caos dei tempi, le privazioni, la paura non riescono a cancellare.
Protagonisti sono non tanto figure di una tragedia, quanto personaggi che si muovono quasi con leggerezza nella confusione del mondo. Lamenti sul cibo e l’eterno rincaro dei prezzi, tram affollati sin sui predellini, gente che arriva da ogni parte, bossoli di proiettili fra i fili d’erba del Wienerwald, tracce dei bombardamenti dappertutto, un dopoguerra caotico. «Mentre transito in jeep, in compagnia di un altro corrispondente, lungo questa catena di rovine, un’improvvisa tempesta di neve aggiunge allo spettacolo una sorte di desolazione barbarica».
La corrispondente di guerra gira per il quarto distretto, «dove i soldati portano ancora i calzoni indossati a Stalingrado». La presenza sovietica conferma, più di quella degli Alleati, la terribile verità di quella guerra. Essa impedisce ai viennesi ogni possibile fuga. Il vino si mescola al sangue quando qualcuno spara alle botti e agli uomini che se le portano via, la violenza sessuale non fa nemmeno notizia.
Vienna anno zero è un libro intenso perché unisce la testimonianza personale e il ritratto concreto, fisico del caos – la guerra è finita ma è sempre davanti agli occhi. Come – si chiede alla fine Hilde Spiel – gestire il dopoguerra?