Corriere della Sera, 18 dicembre 2024
I 50 anni di crimini contro l’umanità del clan Assad
A Zamalka, distretto di Ghouta, alcuni abitanti hanno riferito di una strana missione di agenti di sicurezza del vecchio regime circa un anno fa. Nelle tombe comuni di Zamalka sono sepolte molte delle vittime di un attacco con gas sarin compiuto dall’aviazione di Assad nell’agosto del 2013. Gli agenti hanno scavato due delle tombe, hanno prelevato dei campioni e hanno ricoperto tutto. «Credo che volessero capire se dalle analisi dei resti si potesse ancora stabilire l’uso del sarin», ipotizza Khaled Nouh, uno dei testimoni.
La famiglia Assad sapeva, tutti gli ufficiali sapevano. Se un giorno, avessero perso il potere, i loro crimini avrebbero potuto essere indagati e loro stessi incriminati. Così hanno sempre cercato di nasconderli o quanto meno negarli. Non una volta Bashar Assad ha ammesso la possibilità che negli anni della guerra civile (2012-2019) il suo esercito avesse commesso dei crimini di guerra.
Per lui le immagini che emergevano dal Paese, le testimonianze, le foto satellitari di ampie buche nel deserto immediatamente coperte, erano un complotto dell’opposizione terroristica per screditare la sua lotta contro l’estremismo islamico. Che tra i nemici degli Assad ci fosse anche lo Stato integralista di Abu Bakr al-Baghdadi non c’è dubbio, ma i crimini degli Assad contro il loro popolo sono cominciati prima della guerra civile.
Hafez Assad, padre del Bashar fuggito a Mosca, era già celebre per le torture e le purghe dei rivali politici, ma raggiunse il culmine della crudeltà nel 1982 quando stroncò una rivolta dei Fratelli Musulmani nella città di Hama con i carri armati. Si calcola vennero massacrate 40 mila persone, poco meno che in un anno a Gaza.
La giustizia
Al Jolani ha promesso di assicurare alla giustizia i responsabili delle atrocità
Il figlio Bashar ereditò un sistema repressivo ben rodato e lo mise al servizio della resistenza contro la «primavera siriana» poi divenuta guerra civile. Arresti extragiudiziari, torture, sparizioni erano la norma. In questi giorni diventa sempre più chiaro il funzionamento della «macchina della morte» del regime. Poi ci sono i bombardamenti chimici, prima col sarin poi col cloro, e quelli indiscriminati su aree abitate con i bidoni bomba. Documentati anche 18 bombardamenti di ospedali e scuole. Le vittime del regime in meno di 10 anni di guerra civile potrebbero essere circa mezzo milione. Una commissione Onu d’inchiesta sulla Siria con sede a Ginevra ha pronta una lista di 4 mila «criminali di guerra» ancora segreta.
Il conquistatore di Damasco, Ahmed al-Sharaa al Jolani, ha assicurato di voler portare alla giustizia i responsabili. «Se lo aspetta la nostra gente e noi non lasceremo che le atrocità vengano dimenticate». La giustizia del neonato Stato difficilmente assomiglierà a qualcosa che in Occidente potremmo approvare. Ci sono già stati una decina di linciaggi di alti ufficiali dell’ex regime. Uno a Damasco, altri al Sud, altri nelle zone alawite sulla costa.
Le possibilità che Assad in persona venga giudicato e punito però sono scarse. È già in corso in Francia un procedimento penale contro di lui e la Corte penale Internazionale potrebbe aprire un’indagine, ma l’ostacolo non è trovare le prove, quanto portare Assad alla sbarra. L’ex dittatore ha avuto l’asilo per «ragioni umanitarie» dell’alleato Vladimir Putin, altro indagato per crimini di guerra. Finché ci sarà lui al Cremlino, sarà difficile che decida di estradare Assad, ne va della sua credibilità nei confronti di altri alleati dittatori.
D’altra parte, morire di vecchiaia nel proprio letto è già successo ad altri capi di Stato di provata crudeltà. L’ugandese Idi Amin trovò rifugio in Arabia Saudita; Baby Doc Duvalier scappò da Haiti in Francia; l’argentino Juan Peron venne accolto in Spagna; lo scia di Persia finì i suoi giorni negli Stati Uniti protetto dalla Cia. Nessuno di loro venne mai estradato e il patrimonio accumulato negli anni consentì di stemperare nel lusso la nostalgia del potere.