Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  dicembre 17 Martedì calendario

Sulla parola rispetto

Molto prima che la Treccani nominasse la parola dell’anno 2024 Zucchero cantava «Non c’è più rispetto / neanche tra di noi». Tuttavia la parola scelta a concludere l’anno è proprio “rispetto” e non è detto che questo smentisca il canto del valoroso musicista. La proposta della Treccani è infatti quella di mettere la parola (e soprattutto ciò a cui si riferisce) al centro di ogni “progetto pedagogico” per vederla di conseguenza “diffondersi nelle relazioni” di tutti i tipi, dalle personali alle internazionali.
Forse allora la scelta è stata fatta perché è risultato che nel 2024 di rispetto se ne è visto poco, o poco se ne sia parlato. La parola può caratterizzare l’anno perché è stata molto presente o anche molto assente, altrimenti a sceglierla basterebbe un contaparole qualsiasi. Inoltre ci sono casi in cui si parla tanto di qualcosa proprio perché se ne sente mancanza: e sarà appena il caso di sottolineare come il rispetto diventi un tema soprattutto quando appare evidente la sua mancanza.La mancanza di rispetto è da sempre oggetto di numerosissime querimonie, e più tradizionali di tutte sono quelle che dai vecchi vengono indirizzate verso i giovani. Tanto tradizionali da avere ispirato a Oscar Wilde uno dei suoi più spassosi paradossi: «I giovani d’oggi non hanno più rispetto per i capelli tinti». Ma è un fatto che non c’era sorriso materno meglio guadagnato di quello che gratificava l’adolescente dopo che la madre si era sentita dire che aveva salutato con scrupoloso rispetto la conoscente incrociata per strada. A parlarne ora sembra di evocare idilli deamicisiani. Ma è poi una questione di mero bon ton?
Il rispetto è reclamato soprattutto da chi non è stato capace di guadagnarselo o imporlo. Chissà se da Treccani ci hanno pensato proprio per questo ma sembra attualmente che non ci sia autorità al mondo che non si senta negletta, schernita, impedita e delegittimata da moltitudini irrispettose, ancorché «minoritarie nel Paese». È così che si alimenta quello speciale vittimismo in cui ai nostri tempi sembrano affinarsi coloro che raggiungono posizioni di potere.
Più si è in alto più ci si sente bersaglio di irriguardosi rosiconi, patetici ma fastidiosi. E fin qui sono espedienti retorici di posizionamento per avvantaggiarsi in schermaglie da «teatrino della politica», per dirla con Silvio Berlusconi che ne era al contempo il detrattore più affilato e il più soddisfatto impresario.
Il problema è che Zucchero, anima rock in declinazione funky, proseguiva nel suo testocon: «Il silenzio è rotto / dagli spari tuoi». Minaccioso come è, il nuovo distico fa venire in mente che a reclamare rispetto, ottenendolo con le brutte e le cattive, sono i peggio tipacci: boss, ras di quartiere, capi ultras.
Quella del rispetto è infatti una legge non scritta basata sul carisma e anche sul timore reverenziale, propiziato da convincenti bagliori di lame. Proprio lo stesso vocabolario online della Treccani testimonia il deteriorarsi, circostanziale ma pure significativo, della tenuta etica della parola: «persona di rispetto, persona di riguardo, che è tenuta in molta considerazione; di qui, nel gergo della mafia, uomini di rispetto, i mafiosi».
C’è rispetto e rispetto, e nonbisogna fare le anime belle. La lingua tutta, e le parole che ne sono le costituenti meglio visibili, è contendibile, sensibile a chi comanda, campo di tensioni. Vorremmo certo che per rispetto si intendesse il riguardo (parola gemella per etimo) doveroso verso chiunque, e innanzitutto verso le leggi della convivenza e verso la distanza corretta da tenere per non invadere il campo altrui. Ma non è come dirlo.
L’idea democratica sarebbe stata che la deferenza è innanzitutto il potente a doverla osservare nei confronti di chi potente non lo è. Sì, ciao. Meglio non pensarci e tornare a canticchiare con Zucchero. Il quale Zucchero ha anche sempre confidato che nello scrivere canzoni sceglie le parole piuttosto per il loro suono che per il loro significato.
Quando ha composto Non c’è più rispetto più che all’altitudine etica del concetto sarà stato quindi interessato allo schiocco delle tre sillabe. La risposta di petto. Il riso, il sospetto. E che anagrammi, anche! Prestito, potresti, protesti, strepito. Ti presto rispetto. Potresti, anche tu? Per favore: senza strepito.