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 2024  dicembre 17 Martedì calendario

Quanto vale uno sciopero

Il vero attacco all’azione sindacale non proviene dalle 7-precettazioni-7 in meno di un anno goffamente varate da Salvini, ma da una norma del codice degli appalti che identifica i criteri della rappresentatività sindacale. Secondo l’articolo 63, per stabilire quanto pagare i lavoratori negli appalti pubblici bisogna prendere come riferimento l’accordo siglato dal sindacato che ha sottoscritto il maggior numero di contratti.
Questa norma viola un principio cardine delle rappresentanze sindacali: un’organizzazione dei lavoratori proprio perché interprete dell’interesse della maggioranza dei lavoratori può rifiutarsi di siglare un contratto quando ritenuto insoddisfacente per molti di loro. La norma del codice degli appalti invece di fatto concede ai datori di lavoro la possibilità di scegliere il grado di rappresentatività di un sindacato dei lavoratori premiando chi firma sempre e comunque.
Quello della misurazione della rappresentanza dei sindacati è un problema annoso, diventato più acuto con l’aumento vertiginoso del numero di contratti nazionali. Oggi presso il Cnel ne sono depositati 1.011. Circa i due terzi di questi contratti coinvolgono non più di 1.500 dipendenti, 270 contratti (anch’essi nazionali!) riguardano 15 o meno dipendenti. Ci sono alcune sigle sindacali specializzate nel siglare micro-contratti, spesso praticando riduzioni salariali cospicue (fino al 40%) rispetto ai contratti sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil. Questi contratti vengono spesso patrocinati da datori di lavoro che ricorrono alle competenze dei consulenti del lavoro.
Esistono poi delle federazioni di queste micro-sigle, come la Confsal (Confederazioni sindacati autonomi lavoratori) che possono vantare di avere sottoscritto un grande numero di contratti anche se questi complessivamente riguardano una piccola minoranza di lavoratori. Le grandi confederazioni sindacali che conosciamo (Cgil, Cisl e Uil) siglano molti meno contratti (213 in tutto) in rapporto ai lavoratori coinvolti (mediamente 65.000 per ogni contratto).
La rappresentanza di un sindacato andrebbe stabilita in base al consenso che questa organizzazione raccoglie presso i lavoratori. È un principio di base di democrazia. Ma come misurare il consenso? Ci sono due indicatori oggettivi: il numero di iscritti al sindacato e il numero di rappresentanti di quel sindacato che sono stati votati dai lavoratori nelle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie delle diverse aziende. Sono informazioni oggi disponibili.
Nel luglio 2018 l’Inps aveva raccolto questi dati sulla base di un mandato delle organizzazioni che avevano concordato le regole sulla rappresentanza nel luglio 2014 (il codice unico sulla rappresentanza sottoscritto inizialmente da Cgil, Cisl, Uil Confindustria cui nel novembre 2015 si era aggiunta Confcommercio).
I dati sugli iscritti (dato associativo) venivano notificati all’Inps dai datori di lavoro che operano le trattenute sindacali. Il dato elettorale, quello sugli eletti nelle rappresentanze sindacali unitarie (Rsu), veniva trasferito all’Inps dagli uffici provinciali del lavoro. Secondo quanto previsto dall’accordo con le parti sociali, l’Inps avrebbe affidato questi dati a un comitato di gestione che avrebbe dovuto aggregarle (e stabilire quale peso dare al dato associativo rispetto a quello elettorale). Era anche previsto che ai dati sarebbe stata data pubblicità.
Ma per rilasciare i dati in suo possesso l’Inps aveva bisogno dell’avallo del ministero del Lavoro, in quanto ministero vigilante. Questo avallo è stato inizialmente negato adducendo problemi temporanei dall’allora ministro Luigi Di Maio. Ma non è mai arrivato né da lui né dagli altri tre ministri del lavoro che a lui sono succeduti, Nunzia Catalfo, Andrea Orlando e Marina Elvira Calderone.
Abbiamo perciò ancora un sistema di relazioni industriali opaco, in cui non è dato sapere chi rappresenta che cosa. Il problema è aggravato dal fatto che l’Italia è l’unico Paese in cui i dati autocertificati dai sindacati sul numero di iscritti tra i lavoratori sono nettamente inferiori a quelli che si possono stimare sulla base di indagini campionarie fra i lavoratori. I dati raccolti dall’Inps avrebbero permesso di fornire un dato più significativo sulla copertura dei contratti collettivi e, quindi, sul grado di rappresentanza anche delle organizzazioni datoriali.
La ministra Calderone è stata spesso accusata di fare gli interessi dei consulenti del lavoro, il mondo da cui proviene essendo stata presidente del Consiglio nazionale dell’ordine per 17 anni per poi passare il testimone a suo marito. Ha oggi l’occasione di contraddire queste illazioni. Permetta all’Inps e alle parti sociali di utilizzare i dati su tessere ed elezioni delle Rsu per certificare la rappresentatività dei sindacati.
L’articolo 63 del codice degli appalti, nel favorire i piccoli sindacati, rende ancora più ingovernabili le relazioni industriali nel settore dei trasporti. Paradossalmente si incoraggia quell’uso irresponsabile del diritto di sciopero che porta tanti piccoli sindacati a prendere in ostaggio milioni di cittadini. Invece di minacciare precettazioni che finiscono solo per invelenire le relazioni industriali senza ridurre il disagio dei cittadini, bisognerebbe applicare principi di democrazia nel regolamentare il diritto di sciopero.
Si potrebbe ad esempio, come in altri Paesi, imporre quorum minimi di adesione tra i lavoratori per poter dichiarare uno sciopero. Con gli strumenti attuali di comunicazione non è difficile organizzare referendum fra i lavoratori. A Trenord è stato trovato un accordo di questo tipo ma la consultazione riguarda i soli rappresentanti dei lavoratori, i membri della Rsu, anziché tutti i lavoratori.
Imporre che uno sciopero possa essere dichiarato solo se almeno un terzo dei lavoratori è d’accordo servirebbe anche a impedire la polverizzazione degli scioperi: le diverse sigle dovrebbero mettersi d’accordo anziché competere tra di loro. Ma forse al ministro Salvini conta solo farsi pubblicità usando gli scioperi dei trasporti per coprire le palesi inefficienze del sistema di trasporti pubblici cui il suo dicastero dovrebbe porre riparo.