Corriere della Sera, 15 dicembre 2024
«Mister» Oppenheim. L’allenatore del Milan che morì in un lager
Centravanti del Wunderteam, la nazionale austriaca che spadroneggiò nel football a partire dagli anni Dieci del secolo scorso. Poi, nella Grande Guerra, ufficiale sul fronte russo, agli ordini del Kaiser. Dopo la pace, finisce ad allenare il Milan, fra il 1922 e il 1924. Quel biennio in rossonero è l’apice della carriera calcistica di Heinrich Oppenheim, ebreo di nazionalità austriaca, che poi girovaga per le panchine fra Cecoslovacchia, Germania, Finlandia, Lussemburgo e Polonia.
Ma sarà per la sua «razza», come raccontano gelidamente le carte ufficiali, che sparisce in un lager. Se ora la vita (meglio: la spy-story) di Oppenheim riemerge, è grazie a un’intuizione del sito www.maglierossonere.it e ad alcuni documenti, quelli riguardanti la domanda di pensione fatta da sua moglie Cecilia, che il Corriere ha ricevuto dal Landesamt für Finanzen (l’Ufficio statale delle finanze) del Land della Baviera. La storia inizia con una foto, l’unica a ritrarre Oppenheim, detto «Harry». A trovarla, vent’anni fa in una bancarella a Piacenza, è stato Luigi La Rocca, massimo esperto della storia del Milan e scopritore, tra l’altro, al Cimitero Maggiore di Milano, dei resti di Herbert Kilpin, l’inglese che fondò il Milan nel 1899 e tumulato venerdì scorso al Famedio.
La foto ingiallita ritrae Oppenheim tra un «undici» milanista. «Sotto ogni volto c’erano i nomi indicati a matita». Di recente, è stato maglierossonere.it ad accorgersi che il quotidiano viennese der Standard aveva ricordato i sette giocatori della Federcalcio austriaca, tra cui Heinrich, inghiottiti nell’Olocausto. Oppenheim era il «re dei ladri» dato che – un po’ mister e un po’ procuratore – piazzava i forti calciatori austriaci all’estero, facendo imbufalire i tifosi di casa. A volere Harry in rossonero, fu l’allora presidente del Milan Piero Pirelli.
La scoperta
La vicenda è emersa grazie alla domanda
di pensione fatta all’epoca dalla vedova
«Sì, quello della dinasty poi sponsor dell’Inter» ride La Rocca, spiegando che «quella danubiana era la scuola calcistica di riferimento e a Milano, allora come oggi, si cercava il meglio». Harry restò due anni al Milan, dall’1 luglio 1922 al 30 giugno 1924. Ma non andò oltre un quarto e un tredicesimo posto in campionato e per questo non fu riconfermato. Da qui, la vita del «mister» sta nei 94 fogli del dossier per la richiesta di pensione avanzata nel 1946 da sua moglie Cecilia, 15 anni più giovane del marito, nato il 31 maggio 1889.
Oppenheim, licenza media, diventa un calciatore professionista da ragazzo, a Vienna. Veste pure la casacca bianca del Wunderteam ma la Grande Guerra lo travolge: combatte sul fronte russo, viene ferito, torna in prima linea come ufficiale. Alla pace, eccolo in panchina: prima al Karlsbad, poi in rossonero. Allena a Gelsenkirchen, Duisburg, Dresda, Praga, Lussemburgo, Finlandia. Molla il pallone perché nel 1929 si ammala di carcinoma. Guarito, riprende come rappresentante di commercio e sempre in Boemia, dove si è stabilito dopo le nozze, il 6 giugno 1936 a Vienna. Le referenze – che dalla Metalik von Rontgen alla Philips descrivono un lavoratore «ottimo» – sono datate 1938, l’anno dell’annessione dell’Austria voluta da Hitler. Harry sa che per gli ebrei tira una brutta aria. Vive in Cecoslovacchia ma non si sente al sicuro. Lo certifica ciò che Cecilia racconta al Landesamt für Finanzen. Nei mesi precedenti la guerra, lasciando lei a Vienna, Oppenheim si rifugia in Polonia, «segretamente e per sfuggire alla persecuzione». Poi «attraversa la frontiera» nell’aprile 1939 e raggiunge Katowice, in Boemia, appena occupata dai nazisti. La spy-story comincia a questo punto. Secondo Cecilia, che forse non sa tutto del marito, «da qui va in Inghilterra». Possibile? La donna lo scrive più volte e nulla vieta di pensare (ma è un’ipotesi) che l’ex mister rossonero, poliglotta giramondo e antinazista, da tempo lavorasse per l’Intelligence Service britannico. Al rientro, Oppenheim è arrestato dalla Gestapo e rilasciato – incomprensibilmente – dopo qualche settimana.
Quando il 1 settembre 1939 la Polonia viene sbranata da Hitler e Stalin, Harry si rifugia «a Lemberg (l’attuale Leopoli, in Ucraina, ndr), sotto l’amministrazione russa, a quel tempo mio marito era impiegato come allenatore di calcio presso lo Spartak». Lui «fece di tutto perché io lo raggiungessi» ma senza riuscirci dato che «non ha mai ricevuto i documenti» che servivano. La coppia resta in contatto tramite lettere che lei brucerà, troppo pericoloso custodirle. Pure Cecilia è tenuta d’occhio dalla polizia; un gerarca nazista l’avverte che se vuol continuare a lavorare come segretaria deve divorziare da quell’ebreo: lei si oppone, «non avrei mai fatto questo passo». Cecilia e Harry non si rivedranno più. Lui viene arrestato il 18 novembre 1941 e deportato in un lager. Dell’ex allenatore del Milan non si saprà altro. Per lo Yad Vashem, l’archivio con la memoria della Shoah, morì l’8 maggio 1945. È il giorno della resa del nazismo.