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 2024  dicembre 16 Lunedì calendario

Intervista a Santo Versace

Santo Versace, auguri: oggi compie 80 anni.
«In realtà sto per fare 20 anni per la quarta volta. Mia moglie Francesca ci tiene che tenga la salute sotto controllo: ho fatto una risonanza magnetica al cervello e il medico mi ha detto che neppure un trentenne ce l’ha così. È genetica: ho preso da mio padre».
Stato d’animo?
«Sto vivendo la stagione più bella. E pensi che di vite ne ho vissute quattro...».
Partiamo dalla prima.
«La più lunga, a Reggio Calabria. Ero il primogenito, per un po’ siamo stati da soli io e Gianni. Poi è nata Donatella: i nostri genitori la chiamarono così perché era un dono. Due anni prima era morta la nostra sorellina Tinuccia. Mia mamma pregava e piangeva tutti i giorni: finché non arrivò Donatella. Mi mandò a bussare alle case di parenti e amici per dire che era nata».
Ricordi di quegli anni?
«A sei anni lavoravo con mio padre, spalavo il carbone. Credo che alcuni mestieri vadano insegnati da piccoli, se c’è l’attitudine. Un Maradona non può calciare il pallone per la prima volta a 18 anni: il talento va coltivato da subito. In Italia avevamo fino al 1968 le migliori scuole tecnico industriali: se un ragazzino non è portato per lo studio, dopo le scuole dell’obbligo dovrebbe imparare un mestiere».
Come fece suo fratello.
«Gianni era uno studente creativo, cresciuto in sartoria con mia madre. Diceva di avere 20 mamme, che erano le sarte che lavoravano con noi: era tutto un “Giannino, Giannuzzo...”.
Lei invece ha studiato da commercialista.
«Sì, poi nel 1972 cominciai ad occuparmi a tempo pieno degli affari di Gianni. Mio fratello ricevette una proposta di lavoro da Florentine Flowers quando Donatella andava ancora a scuola. Fui io a trattare il suo compenso, chiedendo 4 milioni, lo stesso di Walter Albini, lo stilista più in auge. Mi dissero di sì: il 4 febbraio del 1972 è partito dalla Calabria. E un anno dopo l’ho raggiunto».
Ed è iniziata la seconda vita.
«Mio padre mi diceva: “Ma dove vai, qui hai lo studio avviato, c’è il sole, il mare”. Gli faceva da controcanto nostra madre: “Non lasciare da solo tuo fratello”. La sua carriera stava esplodendo: Hebe Dorsey del New York Times era il terrore della moda, ma di lui scrisse che c’era un ragazzo bruno calabrese che stava creando la moda italiana».
Nel 1976 avete fondato il marchio Gianni Versace.
«Eravamo pieni di entusiasmo. Ci siamo detti: “Se abbiamo fortuna faremo meglio di Saint Laurent”. E così è stato. L’unione è stata la nostra forza: Karl Lagerfeld era un amico di Gianni, un genio assoluto, prima con Fendi e poi con Chanel, ma mai per sé stesso. Fare impresa è un’altra cosa».
Giorgio Armani disse di lei: l’unica cosa che invidio a Versace è suo fratello Santo.
«Hanno creato un mondo che non esisteva, da una parte c’era Armani, con il suo stile, dall’altra la fantasia di Gianni. Quando Armani perse Sergio Galeotti, che aveva fondato con lui il marchio, si sentì senza un appoggio. Dietro le quinte di Gianni c’ero io».
Dicevano: Armani veste le mogli, Versace le amanti.
«Gianni vestiva le donne che volevano splendere e conquistare, Armani quelle che volevano un power-suit: c’erano amiche di tutti e due che si barcamenavano».
Gianni le chiese di cambiare la serratura di casa per chiudere con un fidanzato.
«Lo feci. Per lui ero un problem solver: poteva contare su di me. Un creativo non deve avere preoccupazioni».
Avete avuto mai un litigio?
«No, io e mio fratello non avevamo segreti, parlavamo di tutto. Poteva succedere che mi lamentassi per le spese un po’ pazze, come le splendide dimore e i Picasso».
E i cachet delle modelle.
«Anche, ma trattavo con gli agenti come Piero Piazzi. Molte di loro erano amiche: Naomi Campbell era una sorella, quando litigava con Joaquin Cortès chiamava Gianni in lacrime: ovunque fosse la mandava a prendere da Dario, il suo autista, e la portava con lui nella villa sul lago».
La più bella?
«Christy Turlington: statuaria. Poi Lady Diana, unica: al funerale di Gianni mi tenne la mano per mezz’ora, cercando di consolarmi».
Gianni confidò a lei per primo la sua omosessualità?
«Era una cosa che sapevamo da sempre, non ci fu bisogno di fare outing. Ebbe anche delle fidanzate, ma era chiara a tutti la sua omosessualità. La nostra famiglia aveva un’apertura mentale fuori dal comune».
Donatella.
«È mia sorella, le voglio bene. Mi ha inviato 100 rose bianche per il compleanno. In un certo senso le ho fatto anche da padre: nel suo libretto delle giustificazioni del Ginnasio c’era il mio nome e cognome, le firmavo io. Le sono rimasto accanto un po’, oggi mi diverto di più a stare vicino ai fragili con la nostra Fondazione».
La morte di Gianni.
«Uno shock: eravamo a Roma, non ci credevo. Solo quando arrivai a Miami e toccai la sua testa insanguinata mi resi conto di tutto. Quirino Conti sul Corriere scrisse che era morto il Dio della moda».
Ed è iniziata la terza vita.
«Una vita in difesa: fino al giorno prima discutevamo della fusione con Gucci, dopo il delitto di Miami le banche d’affari ci davano per falliti e dovevamo persino respingere le accuse di mafia. Litigai con Gianni Barbacetto: se fossimo stati di Voghera come Valentino non avrebbe mai insinuato una cosa del genere».
Come ha metabolizzato il lutto?
«Per i primi anni, nel weekend, andavo nella villa di Moltrasio e dormivo nel letto di Gianni. E di notte ero in preda agli incubi, gridavo: “Gianni spostati”. Avrei voluto parargli il colpo fatale».
La sua quarta vita: l’incontro con Francesca.
«Ci siamo sposati nel 2014 con matrimonio civile e nel 2023 con la cerimonia religiosa e una festa a Casina Valadier. Non credevo più ai sentimenti, dopo che l’ho conosciuta le ho scritto: “Rimetto nel vocabolario la parola amore”. Ha guarito le mie ferite e mi ha ridato la fede: la sera leggiamo il Vangelo del giorno dopo e preghiamo per le anime del Purgatorio. Il sabato pomeriggio in chiesa prima recitiamo il Rosario, poi ci confessiamo e partecipiamo alla Santa Messa».
La Fondazione Santo Versace.
«È il figlio che non abbiamo avuto, pur avendolo cercato, ma senza ostinazione. Nel 2021 abbiamo creato questo ente filantropico di cui sono Presidente e mia moglie è Vice-Presidente: sostiene le persone che vivono in condizioni di fragilità e disuguaglianza sociale. Per il mio compleanno lanciamo il primo progetto internazionale: sosterremmo le donne dello slum di Kibera, a Nairobi. Per non sentire i morsi della fame sniffano colla e per vivere sono costrette a prostituirsi. Apriremo una casa famiglia».
Crede nell’Aldilà?
«Sì, credo fermamente e prego per andare in Paradiso».
Come se lo immagina?
«Come la Calabria. Il mio cuore è rimasto lì: quando viaggiavo per il mondo la prima cosa che facevo era spedire una cartolina a casa».
C’è una cosa che avrebbe voluto dire a Gianni e non ha fatto in tempo?
«Ci siamo detti tutto, eravamo la metà della stessa mela. Lui il birichino, io il saggio».
È stato eletto nelle liste del Pdl. Lo rifarebbe?
«Oggi trovo più divertente occuparmi di chi ha bisogno che fare politica. Ma avevo uno splendido rapporto con Berlusconi: nel 2022 mi ha regalato dei magnifici arazzi».
È Presidente fondatore di Altagamma, che raggruppa le eccellenze di moda, design e food. Si sente uno dei padri del made in Italy?
«In un certo senso sì. Nel 1992 avemmo la straordinaria visione di mettere insieme lo stile di vita italiano in tutti i settori. Eravamo io, Mario Bandiera, Ferruccio Ferragamo, Maurizio Gucci, Marina Deserti e altri imprenditori».
Il momento più bello della sua vita.
«La nascita dei miei figli e il matrimonio religioso con Francesca».
Il più brutto?
«La morte di Gianni».
Ha rimorsi o rimpianti?
«Sono in pace e i migliori anni devono ancora venire».
La sua filosofia di vita.
«Non esistono i problemi, esistono le soluzioni».
 
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