Libero, 16 dicembre 2024
Adelphi pubblica le Opere matematiche di Bruno
Può la morte oscurare la vita? Sì, se la morte in questione è quella di Giordano Bruno. Di cui molti conoscono la fine atroce, pochi il pensiero. Sappiamo che fu arso vivo in Campo de’ Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600, una cifra tonda rimasta incisa tra le tragedie della storia. La Santa Inquisizione volle dar prova della sua intransigenza con il filosofo di Nola, piccolo centro nei pressi di Napoli, città dalla quale, storicamente, provengono brillanti ingegni teoretici italiani. E poi la sua statua, un bronzo eretto a Roma proprio nel punto in cui trovò la morte. Bella, con il suo volto pensoso rivolto verso il basso, sotto il cappuccio del saio di frate domenicano, cosa che lui del resto fu, per quanto a modo suo, ereticamente prima, scomunicato poi. La statua è lì da circa centotrent’anni e da allora è un simbolo della libertà di pensiero. Nei suoi pressi, una natura impressionabile potrebbe figurarsi di udire quelle che, secondo la leggenda, furono le sue ultime parole: «Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla».
Fu un fatto di enorme risonanza e tale è rimasto. Qualche decennio più avanti, Galileo avrebbe abiurato, evitando a sé e alla civiltà italiana una nuova tragedia. Pagine buie che hanno vinto quelle luminose. Ma Bruno non è la sua fine, né il suo inizio. È il dipanarsi di migliaia di pagine, di opere che per nostra fortuna Adelphi ha la gentilezza di pubblicare, peraltro nella sua collana di maggior pregio, con tanto di testo a fronte in latino, per la pregevole cura di Laura Carotti e Marco Matteoli
sotto la direzione di Michele Ciliberto.
Negli anni si sono susseguite le Opere mnemotecniche I e II, le Lulliane, le Magiche, il Corpus Iconographicum, ora è la volta delle Opere matematiche (p. 752, € 80). Un volume gratificante anche alla vista e al tatto (ottima la carta, notevoli i disegni originali), in cui confluiscono i dialoghi (L’idiota trionfante, L’interpretazione del sogno, Mordente, Il compasso di Mordente), Centosessanta articoli contro gli odierni matematici e filosofi e Le lezioni introduttive di geometria.
Già i titoli annunciano contenuti esposti nella lingua irriverente di Bruno, noto per la sagace ironia. Fabrizio Mordente, con quel suo nome infelice, era un matematico pieno di sé, non altrettanto di genio, cosa che il Nostro evidenzia prendendolo in giro con formidabile grazia. Aveva il gusto del teatro, dello sberleffo amaro, lui che aveva peregrinato per la gran parte dei paesi europei – Gran Bretagna, Francia, Olanda, Germania – essendovi accolto non sempre bene, a causa delle sue idee estremiste.
Infatti litigava con tutti, ma sempre per motivi alati e, osiamo dire, per i più manifestamente inaccettabili. A Oxford, per esempio, si fa un sacco di nemici perché tiene lezioni in cui difende le teorie di Copernico, fatto non molto apprezzato all’epoca.
La verità è che Giordano Bruno era un filosofo vero troppo avanti con i tempi, si potrebbe azzardare che in lui, per primo, ravvisiamo i rudimenti della filosofia della scienza, anche se è comunemente considerato ermetico e panteista. La sua complessità è tale che, se non si non si conoscono i rudimenti della materia, si capisce poco tuttora. La teoria del minimo, qui esposta nei più reconditi particolari, è una riedizione dell’atomismo democriteo di straordinaria modernità: «All’infuori del minimo e dell’indivisibile, ovvero dell’atomo e del punto, ritengo che nulla sia veramente». Un modo neanche troppo velato di gettare alle ortiche il sistema aristotelico, dunque anche il tomismo e, nei fatti, l’impianto teoretico su cui si basa la cattedrale teologica di Santa Romana Chiesa.
La filosofia di Bruno espone il trionfo della materia che rigenera sé stessa in un vortice permanente, creando e distruggendo mondi, in un sistema infinito di cui la terra è soltanto una parte, e neanche la più importante. Ma se la terra è un pianeta tra i tanti l’antropocentrismo va alla malora, e con esso perisce il creazionismo cattolico. Per Bruno, Dio non ha creato nulla, perché l’essere non può venire dal nulla. Il resto procede, a cascata, travolgendo perfino la Trinità, al punto che il nolano ebbe addirittura una certa simpatia per l’arianesimo, che negava la divinità di Gesù.
La Chiesa, già prostrata dal terremoto scismatico di Lutero, resta in silenzio mentre Bruno conciona e pubblica all’estero, ma quando, su invito del nobile Mocenigo, si reca a Venezia per insegnare l’arte della memoria, in cui era maestro, muove il braccio della Santa Inquisizione. Il resto è storia. A noi piace ricordarlo per la stima di Diderot, che in lui vedeva un anticipatore di Leibniz, e di Pierre Bayle, per il quale fu invece un precursore di Spinoza. Ma soprattutto per la citazione di Christopher Marlowe in La triste storia del dottor Faust: «Si affannano a punire Bruno, che è invece è lontano. Vola il suo superbo corsiero, vivo come il pensiero, già passa le Alpi».