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 2024  dicembre 16 Lunedì calendario

Parla Sgarbi

Cosa significa essere madre? Solo l’arte, forse, lo ha saputo raccontare». Vittorio Sgarbi torna in scena con un libro che lo ricollega alle sue radici di appassionato critico e di figlio per sempre. E lo fa con un libro Natività, Madre e figlio nell’arte (La nave di Teseo), al termine di un anno complesso, cominciato con le sue dimissioni da Sottosegretario alla cultura e continuato con una serie di indagini sui suoi conflitti di interesse. «Ho dovuto rispondere di un conflitto che è un conflitto con la natura stessa della mia vita, cioè quello che avevo sempre fatto, conferenze discorsi mostre: mi sembrava confacente alla funzione, non era estraneo». Lo Sgarbi inedito, neo malinconico, riparte dalla passione primaria, affrontando e riaffrontando i nodi dei grandi capolavori dalla Madonna del parto di Piero della Francesca all’ultima Pietà di Michelangelo, monumento all’incompiuto. Passando per altri grandi nomi, ma non solo. 
Soddisfatto di questa vita più appartata, o le pesa aver rinunciato all’impegno politico? 
«Certamente mi piace riguardare le opere d’arte e metterle insieme. Ma mi manca la possibilità di prendere decisioni in merito a questioni relative alla salvaguardia del patrimonio e alla difesa del paesaggio, alla grande bellezza. Le riunioni che si facevano rispetto alle questioni che rimangono irrisolte e che sono un po’ distanti dalla mentalità di chi guida un Ministero». 
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È tempo di bilanci. Ha detto, in un podcast di Luca Casadei, che dopo l’operazione alla prostata non ha più l’effervescenza sessuale; com’è questo periodo? 
«Adesso sono molto concentrato sulla lettura di queste cose che sono diventate poi il libro. Quindi è un tempo di intimismo». 
«PARE CHE IO SIA DIMAGRITO E QUINDI DEBBA MANGIARE DI PIU’: MIA SORELLA E LA MIA COMPAGNA VENGONO A SEGUIRE I RITMI DELLA MIA GIORNATA»
Inedito l’intimismo per una persona come lei abituata a vivere e vedersi nell’espansione esterna. 
«Una specie di Notturno come quello di D’Annunzio, l’attenzione a quelle cose che sono rimaste sempre un po’ sospese nella vita e che invece adesso diventano pensieri, riflessioni». 
Per esempio, oltre all’arte? 
«Beh, i rapporti intensi con mia sorella con la sua materna presenza: pare che io sia dimagrito e che quindi debba mangiare di più, e lei e la mia compagna Sabrina vengono a seguire i ritmi della mia giornata quotidiana». 
Molto accudito, ma manca l’effervescenza di un tempo. 
«Mah. È “calore di fiamma lontana” diciamo così, lo diceva Didimo Chierico nell’appendice di Foscolo al Viaggio sentimentale di Sterne». 
Un’inversione completa rispetto alla passione di Jacopo Ortis: quindi non insegue più la fiamma, non fa come il Nobel giapponese Yasunari Kawabata che nella Casa delle belle addormentate canta le giovani Vergini dormienti? 
«Lui ha una posizione più... nostalgica». 

"Natività, madre 
e figlio nell’arte”, 
di Vittorio Sgarbi 
(La nave di Teseo)Lei si rifugia nella cura, nell’accudenza. Nel libro Natività cerca l’essenza di questo rapporto. 
«Nell’arte è il tema vitale, da quella bizantina fino al Trecento/Quattrocento con il tema della Madonna con il bambino cui si cerca di intendere la natura quotidiana, di vita semplice con rapporti e gesti affettuosi che si muovono dalla madre al bambino: sono la parte più singolare di questa grande tradizione pittorica, umanizzare il divino. Il libro evidenzia alcuni capolavori interpretati non nella dimensione dell’arte, ma nella dimensione della umanità come nell’Adorazione dei pastori di Caravaggio, questa donna che sta lì nel fango proteggendo un bambino dal freddo con dei pastori che sono figure di un mondo che non ha nessun riscatto, non sono chiamati dalla cometa ma sono quelli che si trovavano lì in quel momento hic et nunc, in una dimensione naturale ma soprattutto che toglie loro ogni privilegio: in Caravaggio non c’è privilegio». 
Altro rovesciamento che fa è a proposito di Courbet: dell’Origine della vita scrive che «non è un rovesciamento del tema della maternità ma ne rappresenta l’assoluto archetipo». 
«È l’intuizione della creazione, quindi della nascita come nascita del mondo, è un fatto filosofico, non c’è nessuna provocazione, è la riduzione dell’essenza della vita che passa attraverso l’organo sessuale». 
Ha sempre detto che non voleva diventare padre. 
«Ho sempre sentito che i figli sono delle madri, e che quindi la funzione del padre è una funzione di osservazione, di assistenza esterna, di presenza silenziosa e di appoggio. Nel libro riporto un passaggio della Prima notte di quiete di Zurlini, mio amico, in cui Delon e Sonia Petrovna dialogano davanti alla Madonna del parto di Piero. Lei chiede: “lei vorrebbe avere un figlio?” e lui: “Non ne ho più la volontà, il coraggio, la fantasia. Ho scordato troppe cose"». 
«ELISABETTA LA DOMENICA ANDAVA A LEGGERE I MIEI ARTICOLI ALLA MAMMA, DAVANTI AL SEPOLCRO, COME SE POTESSE ASCOLTARE»
Ma ora è grato alle signore che, nonostante lei, hanno fatto nascere i suoi tre figli? 
«Direi che sono soddisfatto della bella opera». 
Il rapporto con sua madre, la signora Rina, è stato quasi simbiotico. 
«Lo è stato sostanzialmente per me, dal momento dell’infanzia fino a qualche anno prima della sua morte: tutto quello che io facevo era dialogato e concordato con lei, lei in qualche modo era stata mia madre e io quasi un padre, nel senso di dare delle indicazioni di vita e di comportamento che mia madre ha assunto come propri: quindi un’operazione di riformazione, di rieducazione dei genitori, conclusa da me in età di figlio con loro che sono diventati miei contemporanei». 
Quando è mancata Rina nel 2015, Camillo Langone ha scritto che invidiava il fatto che lei avesse avuto una madre così: era la madre che avrei voluto, ha scritto, che amava senza soffocare. 
«Non me lo ricordavo ma aveva ragione, nel senso che è difficile immaginare una madre che non sia soltanto una persona che esprime amore, ma che esprime ragione e che condivida le tue idee, che fa proprie». 
E lo faceva con allegria. 
«È vero, era un supporto allegro. Poi c’è stato questo passaggio da mia madre a mia sorella che ha acquisito una funzione materna e anche un senso di tutela della memoria per cui vive in una continua forma di dialogo con mia madre e con mio padre, c’era un periodo che andava a leggere i miei articoli la domenica a mia madre davanti al sepolcro, come se mia madre fosse viva e potesse ascoltare». 
Recentemente Giampiero Mughini ha detto al Fatto quotidiano che per stare in prima fila lei avrebbe fatto anche la ballerina. 
«Beh, se avessi avuto diciamo gli strumenti tecnici per farlo in maniera non dilettantesca, anche fare la ballerina avrebbe avuto un significato. È una bella battuta». 
E comunque il ballo richiede apprendistato, rigore e controllo del corpo. In questo periodo di malattia diceva che è cambiato il rapporto con il suo corpo. Fa fatica? 
«Sì, prima il mio corpo non lo vedevo neanche, nel senso che non mi occupavo di lui. Adesso devo vedere se riesco a dormire bene, se riesco ad andare in bagno, ho un dialogo con il corpo che non avevo avuto mai». 
Interessante questo dialogo? 
«Non troppo, era meglio prima». 
Però è nuovo. 
«Sì, ma preferivo essergli indifferente. In ogni caso mi tiene occupato sul piano dell’agibilità, della manutenzione». 
Oltre all’assillo della manutenzione primaria quotidiana, che piani ha? 
«Il progetto per una mostra sull’arte e la vecchiaia, la dovevamo progettare per il Giubileo, abbiamo rimandato, sono i grandi capolavori degli artisti negli anni tardi. Tiziano, Michelangelo...». 
Cos’è la vecchiaia nell’arte? 
«È una forma di giovinezza consapevole, cioè quello che tu fai in giovinezza per istinto nella vecchiaia diventa una specie di riflessione sul destino, sulla vita, sul tempo. Quindi i grandi maestri nelle loro ultime opere sono più intensamente filosofici, riflessivi, spirituali, si caricano di una dimensione che non è il virtuosismo o la capacità di essere geniale e di avere delle intuizioni che valgono la cosa, la cosa viene conquistata con una lenta riflessione e meditazione sul tempo e sulla fine». 
Dal punto vista personale invece come la vede? 
«La vedo pericolosa perché si è più fragili nel senso che la morte è più vicina alla vecchiaia... Certo, c’è un ruolo di autorevolezza, un rispetto per i saggi, l’idea di dedicare tempo a persone a cui non lo hai non dedicato nel passato». 
Per esempio i figli, li ha visti di più? 
«Sì, li ho visti in tempi recenti con più frequenza. E provo soddisfazione per la loro volontà di fare e dare forma alla loro vita. Vedere crescere la progettualità». 
E quindi se dovesse definire la sua situazione adesso come la definirebbe, perché non è lo Sgarbi pirotecnico, irruento, incurante, sempre all’attacco di un tempo. Quante volte al giorno dice «capra capra capra»? 
«Adesso no non lo dico più». 
Perché? 
«Perchè faceva parte del divertimento, del gioco che in questo momento non c’è. Ma comunque qualche volta lo penso».