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 2024  dicembre 15 Domenica calendario

Un’attrice in scena 24 ore

Euridice Axen in scena 24 ore. L’attrice è protagonista dello spettacolo The second woman al Teatro di Corte di Palazzo Reale a Napoli, nell’ambito del Campania Teatro Festival, dalle ore 18 di ieri fino alle 18 di oggi. Una performance impegnativa, coprodotta da Mecànica Prod., con la drammaturgia e regia di Nat Randall e Anna Breckon.
Liberamente ispirato a Opening night di John Cassavetes, film del 1977 con Gena Rowlands protagonista, è un singolare esperimento teatrale dove una donna incontra, uno ad uno, ben 100 uomini diversi. «Indosso una parrucca, per somigliare un po’ alla Rowlands – spiega Axen – ma il mio ruolo è quello di una sorta di prima donna di facciata, perché quella reale, cioè la “seconda donna” del titolo, si materializzerà per sfinimento, dovendo interagire non solo con 100 uomini sconosciuti, ma anche con incursioni di vari attori professionisti conosciuti».
Come si è preparata per stare 24 ore in scena?
«In effetti, amici e colleghi mi hanno chiesto: come fai, per esempio, a mangiare qualcosa o ad andare al bagno? – ride – Ogni due ore sono previste pause di una ventina di minuti e ho un po’ studiato come si sono organizzate altre attrici che hanno vissuto questa esperienza con questo spettacolo in varie parti del mondo, comunque ogni volta è una cosa diversa».
In che modo sono stati scelti i 100 uomini?
«Si erano candidati oltre 200. Gli organizzatori del Festival hanno fatto una selezione, una cast list. Sono tutti italiani, possono essere di varie età, dai 18 agli 80 anni, ma devono saper stare sul palco. Quando entrano, io sono di spalle, non so chi siano. Ogni scena con ognuno di loro dura 7 minuti e consiste in una accesa discussione tra me e lui, una coppia in crisi: lei recrimina una serie di cose, cerca rassicurazioni e lui, andando via, le dirà se la ama ancora oppure no».
Gli spettatori cambiano di volta in volta?
«Sì, ogni due ore la platea cambia, ma ci può essere anche qualcuno che rimane più di due ore, dipende dalla sua capacità di resistenza...».
Perché ha accettato questa proposta?
«Perché sono pazza! È una bellissima follia e, dopo le 24 ore, vorrei capire chi sono veramente. Non è uno spettacolo che si basa sulla recitazione di un testo, ma una profonda improvvisazione. Per me che sono sempre molto controllata, è una sfida labirintica, extra sensoriale: dopo tante ore, si abbattono le barriere e si finisce nell’ipnotico: perderò il senso e ne troverò un altro nel gioco della seduzione».
Riguardo alla seduzione, le sono stati spesso proposti ruoli seduttivi. Tra gli altri, indimenticabile la sua interpretazione teatrale di Moana Pozzi e inoltre il personaggio di Tamara nel film Loro di Paolo Sorrentino.
I registi vedono
in me qualcosa
di sensuale ma la cosa mi fa sorridere perché
sul set
non sono io, nella vita reale sono diversa
«Effettivamente i registi vedono in me qualcosa di seduttivo, la cosa mi fa sorridere perché lì non sono io, nella vita reale non sono affatto seduttiva e potrei impersonare anche una suora. Moana fu un caso: era un personaggio che mi attirava per la sua storia, la sua denuncia contro la pornografia. Avevo un desiderio silenzioso di impersonarla e, stranamente, ricevetti la proposta dal drammaturgo Ruggero Cappuccio».
La bellezza aiuta o può essere un peso?
«Favorisce sempre, anche solo per avere un tavolo in un ristorante pieno. Mi domando spesso come sarebbe stata la mia vita se fossi stata molto più bella o se non lo fossi stata affatto. So di essere piacente, ma la mia è una bellezza complicata, da antagonista. Una persona mi disse: hai i tratti troppo decisi, perché ti sei rifatta il naso? Ma io non me lo sono rifatto!».
Ha mai subito molestie sul lavoro?
«Molestie vere e proprie, no. Atteggiamenti faticosi, da parte di certi uomini, sì. Ma i tempi sono cambiati e non mi capita più».
Lei ha scelto il cognome di sua madre, l’attrice svedese Eva Axen, e ha avuto due padri: quello biologico, l’attore Adalberto Maria Merli, e quello putativo Franco.
«Quello biologico ho iniziato a frequentarlo a 18 anni...».
Ma ha ereditato da lui la passione per la recitazione?
«Avendo entrambi i genitori attori, nel mio dna qualcosa c’era e non posso negarlo. Sin da bambina volevo intraprendere questa strada, ma non ho mai studiato recitazione: dopo il liceo classico, frequentavo l’università e facevo provini per fare l’attrice. La grande occasione, con Gabriele Lavia in Memorie dal sottosuolo: è stato un grande maestro, gli devo tutto».
Il suo nome, Euridice, è impegnativo, si rifà alla mitologia greca...
«Lo decise mia madre che, da ragazza, aveva interpretato il film Orfeo 9, opera rock di Tito Schipa jr, con Renato Zero, dove Orfeo salva Euridice dall’inferno della droga. Un’opera all’avanguardia e così venne deciso il mio nome... era proprio destino che facessi l’attrice di strani spettacoli!».