La Stampa, 14 dicembre 2024
L’economia argentina in risalita e i nuovi poveri
Buenos Aires – Sebastian Gimenez Melo apre tutti i giorni il suo locale nel rinomato quartiere di Palermo Hollywood, centro della movida di Buenos Aires. Si chiama Ammazza, menù a base di pinsa romana e spuntini, decorazione con foto del cinema neorealista italiano, tovaglie a quadretti e sciarpe della Roma. Sebastian ha studiato all’Università di Bologna e coltiva un legame molto forte con il nostro Paese. Come ristoratore è un testimone diretto delle montagne russe dell’economia argentina, incluso questo ultimo “pazzo” anno con Javier Milei al governo.«Riassumendo al massimo direi che se prima dovevo vendere molto per guadagnare poco, oggi vendo meno, ma guadagno di più. Sono meno ansioso sul domani, anche se il consumo è calato moltissimo». A Buenos Aires, si sa, sono tutti un po’ economisti, i media ti bombardano tutto il giorno con la quotazione del dollaro, i numeri dell’inflazione o dello swap. Sebastian spiega che tra le note positive della rivoluzione liberista di Milei c’è la stabilità. «Prima ero costretto ad aumentare il salario dei miei dipendenti del 10-15% al mese, i fornitori mi aumentavano i prodotti e la farina ogni settimana, correggevo i prezzi ogni giorno, lavoravo come un matto per dei margini minimi di guadagno».In un anno l’inflazione è scesa dal 260% al 166% e la breccia tra il cambio ufficiale e quello parallelo del peso col dollaro si è praticamente azzerata. La vituperata moneta nazionale, oggi, vale di più, tanto che l’Argentina non è più così a buon mercato per i turisti brasiliani, cileni o europei.«Il calo dell’inflazione è una notizia positiva per tutti, ma per noi ristoratori questo è un problema. Prima molta gente usciva la sera per spendere quei pochi pesos che gli rimanevano a fine mese, visto che con la svalutazione galoppante non aveva senso risparmiare nella nostra valuta. Oggi si possono mettere da parte i pesos, ma una cena fuori è diventata un lusso per molti». Dodici mesi fa il leone liberista prendeva possesso della Casa Rosada promettendo una stagione di lacrime e sangue per «mettere la casa in ordine». Milei ha posto come primo obbiettivo il bilancio dei conti pubblici ed è riuscito nel miracolo, a costo di tagliare tantissimo sul Welfare, con licenziamenti di massa nella funzione pubblica, blocco delle assunzioni e congelamento di pensioni e stipendi statali. Il potere d’acquisto dei salari è crollato e la povertà, che a fine 2023 era del 42% è schizzata al 54%. Il primo semestre dell’anno è stato terribile, poi le cose sono iniziate a migliorare, ma ancora oggi una famiglia argentina su due fatica ad arrivare a fine mese. Matias Castelli lavora come reporter da 25 anni per Telefe, uno dei maggiori canali televisivi privati. Guadagna poco più di 1.300 euro al mese, ma ne spende un quarto per pagare la “Obra Social” l’assicurazione sanitaria per lui, la moglie e due figli.«I costi fissi sono aumentati in maniera spaventosa per tutti ad inizio anno, poi si sono stabilizzati, ma non sono scesi. Gli stipendi, invece, sono rimasti al palo. Molti miei colleghi fanno doppi o tripli lavori e anch’io ci sto pensando. Ho 51 anni e provengo da una famiglia benestante, non avrei mai pensato di arrivare a questa situazione». La scommessa di Milei è quella di trasformare un Paese abituato a mezzo secolo di assistenzialismo pubblico peronista ad un modello di capitalismo all’ennesima potenza, con il libero mercato che comanda e uno Stato ridotto all’osso. Il presidente sta vincendo la battaglia della macro economia, ma preoccupa il fronte sociale e sarà difficile recuperare l’esercito dei nuovi poveri. Ha decurtato borse di studio ai ricercatori e imposto un limite per le medicine gratuite a malati cronici e pensionati. I sindacati e i movimenti studenteschi sono sul piede di guerra, ma i sondaggi gli danno un consenso oltre il 56%. Ricorda molto Carlos Menem, il pittoresco presidente peronista degli anni Novanta che aveva dollarizzato l’economia inaugurando l’epoca della “pizza e champagne”, una specie di “Milano da bere” in versione rioplatense. Il decennio di Menem, di cui Milei guarda caso è un fervente ammiratore, è finito malissimo, con lo sventramento dell’industria nazionale, l’indebitamento massiccio e la rovina del default di fine 2001. Eppure, Menem era amato da molti per anni, salvo poi cadere in disgrazia per diversi casi di corruzione. Parte del successo di Milei si deve allo sfinimento degli argentini per i casi ripetuti di malaffare dei politici peronisti, con l’ex presidente Cristina Fernandez de Kirchner, che è già stata due volte condannata. Il peso forte sta iniziando a provocare problemi a chi lavora con turisti. Gian Paolo Minelli è un fotografo e artista svizzero-italiano che nel tempo libero organizza tour e vacanze personalizzate per visitatori europei.«Stiamo chiudendo gli ultimi tour prenotati mesi fa, ma la prossima stagione sarà deludente. Oggi una vacanza che includa le bellezze naturali come le cascate dell’Iguazú o la Patagonia è molto più cara di una settimana alle Maldive». La crisi del consumo ha colpito anche Elizabeth, sua moglie, che ha un’azienda di catering specializzata in eventi imprenditoriali. Il mese di dicembre è il migliore, per le feste e l’inizio dell’estate australe, ma non quest’anno. «Prima il mio più grande problema era riuscire a fare un preventivo che reggesse più di una settimana. Oggi tutto è più prevedibile, ma le aziende non hanno grandi pretese e preferiscono un brindisi modesto nella loro sede». Il dato più emblematico per capire la contrazione riguarda il consumo di carne: l’anno si chiude con una media di 44 kg per persona, mai così basso dal 1920. La bistecca di manzo non è sparita, ma appare sempre meno spesso sulla tavola delle famiglie argentine.