la Repubblica, 14 dicembre 2024
Novecento di Baricco ha trent’anni
Alessandro Baricco non ci prova neppure a far finta che sia una cosa come le altre, al telefono è felice e non lo nasconde: «Abbiamo voglia di festeggiare». Novecento, il monologo scritto nel 1994, diventato un libro Feltrinelli che ha venduto oltre un milione di copie, per i suoi trent’anni varca le soglie del Piccolo di Milano, il Teatro Strehler, il palcoscenico di prosa più prestigioso d’Italia. Ci arriva dopo aver girato molto. Il 16 dicembre sarà una giornata speciale che culminerà la sera con Baricco sul palco a leggerlo davanti al pubblico: «Volevo tornare al sound originario». Un sound che nel tempo si è modulato sulle tonalità di attori in tutto il mondo, a cominciare da quella di Eugenio Allegri, morto due anni fa che ne è stato il principale interprete. Novecento ha fatto commuovere, ridere, pensare, è diventato un fumetto e un film diretto da Giuseppe Tornatore. Ci sono alcuni giri di frase di quel testo ormai classico che ti si attaccano addosso. Forse per questo cambiano le generazioni ma non muta l’affezione verso quel pianista jazz che passa tutta la vita su un transatlantico, suonando e basta, senza mai scendere a terra. I giovani aspiranti attori continuano a saccheggiarlo durante i provini: segno che Novecento è nato con i piedi già nel futuro. Nel pomeriggio di lunedì 16, ragazzi e ragazze di varie scuole di teatro potranno scegliere brani da leggere sul palco del Piccolo, seguirà una lectio di Gabriele Vacis sul teatro di narrazione.
La sua è una scrittura molto musicale, quasi un gesto sonoro.«Ognuno ha regalato a Novecento la sua musica, attori e registi, ma ho pensato che poteva essere interessante vedere come aveva risuonato nella mia testa. L’ho portato in giro per qualche anno, prima e dopo la pandemia, poi ho smesso e adesso lo ritiriamo fuori per l’occasione».Novecento è la storia di un pianista, lei ha scritto di musica, ne ha parlato in tv. Che posto ha nella sua vita?«Probabilmente non potendo diventare un musicista, per mancanza di talento totale, ho messo molta musica in tutto quello che ho fatto. Suono il pianoforte ma pur avendo studiato tutta la vita continuo a farlo male. Ho iniziato a cinque anni, non c’è casa in cui non abbia avuto un pianoforte. E poi ho sposato una pianista, Gloria Campaner. In genere però suono quando lei non c’è (ride). Ogni tanto mi fa il regalo di suonare insieme, ma alla sesta volta che sbaglio lo stesso passaggio, la sua pazienza finisce».Che suonate?«Spesso una fantasia di Schubert a quattro mani che è molto bella ed è vagamente alla mia portata».Rilegge ad alta voce quello che scrive, per capirne il ritmo?«Credo che tutti gli scrittori lo facciano. È comunque un modo per risentire l’architettura della frase. Poi io, a differenza di altri, vado a leggere qua e là, questo sì. È una mania, dai tempi di Totem (trasmissione e spettacolo cult che mescolava letteratura, musica, pensieri, in cui Baricco leggeva Céline e Omero, Dickens e Carver, ndr)».Che passo ha oggi Novecento? Tanto successo l’ha sorpresa?«Non completamente. Alle volte si fanno cose che poi sono destinate a durare e avere un grande successo. Altre volte si fanno delle cose che sono destinate ad avere un grande successo ma non a durare. Non è che uno possa saperlo prima. Novecento delle cose che io ho fatto nella vita è una delle più persistenti, non scivola via dalle consuetudini del pubblico, dalla corrente maggiore».È un testo che continua a essere letto e rappresentato in tutto il mondo.«Le racconto un aneddoto allora. Quando c’è stata la prima dello spettacolo ad Asti, nell’estate del 1994, davanti a me era sedutouno dei critici più famosi al tempo. Non posso dimenticare quando alla fine si alzò e scivolando via dalla fila, girandosi verso di me, disse una sola parola: “cabaret”. Eppure era stato un successo dipubblico. Ripensandoci però non me la sento di demonizzarlo più di tanto, non aveva del tutto torto. Ai tempi il monologo quasi non esisteva nel nostro teatro, la realtà allora era diversa. Uno spettacolo del genere era incomprensibile per uno che non avesse una testa aperta o fosse giovane. Un critico completamente immerso nella cultura teatrale di trent’anni fa, quello spettacolo lì non poteva capirlo».Con la critica, anche letteraria, in effetti il suo rapporto non è stato sempre facile.«Ne ho viste di tutti i colori, ma ho avuto grandi soddisfazioni di pubblico, riconoscimenti popolari, economici, per cui va bene così. Certo, lo dico con tutta la modestia di cui son capace, quindi non tantissima, in alcune cose che abbiamo fatto – io e quelli intorno a me – eravamo un’oretta avanti a tutti e quindi questo lo paghi. Anche la Scuola Holden all’inizio sembrava una truffa ma oggi può dare una laurea, è stata riconosciuta dallo Stato. A volte ci vogliono anni perché il trauma di quell’oretta di vantaggio venga assorbito. Poi un giorno la polvere cade e tutto si rimette a posto».Forse ha pesato una sua aria un po’ troppo spavalda, troppo consapevole delle proprie capacità…«Ero antipatico, molto poco modesto, un po’ spinoso, me ne stavo sepolto a Torino. Nel nostro gruppo, del quale faceva parte anche Gabriele Vacis, in realtà eravamo tutti un po’ spinosi. Forse questo spiega moltissime cose. L’importante è che nel tempo, in qualche modo, la mappa si è rimessa a posto. Per questo ci tengo a salire lunedì su quel palco a leggere il mio testo. Sarà come ricomporre qualcosa di me».A proposito di bruciare i tempi, lei è stato il primo scrittore italiano a generare un NFT (non fungible token) da una sua opera. E quell’opera era Novecento.«L’ho fatto, mi è servito a scoprire un mondo, ma dal punto di vista della mia storia di autore non è stata un’esperienza particolarmente significativa».Perché?«Dietro quel sistema c’è un’idea di anarco-democrazia che è apprezzabile, probabilmente ha un futuro, ma non è la mia tazza di tè».Novecento invece è una storia del secolo scorso, non confesserà qualche malinconia per il passato?«Penso, come ho già detto, che il Novecento sia stato uno dei secoli peggiori della storia dell’umanità, quindi non ho grandi nostalgie. Continuo a credere che i miei figli rispetto a me siano cresciuti in un mondo migliore».Nonostante i troll, Trump e Elon Musk, crede ancora nelle potenzialità del Game?«Ci sono modi per sbagliare, i cambiamenti sono difficili, possono fare vittime, ma la rivoluzione digitale è stata fatta per avere un mondo migliore». Finiamo con una citazione dal monologo, una delle più enigmatiche. È di Novecento: “I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci sono riuscito. Allora li ho incantati”. «Mi ci vorranno anni per capire cosa diavolo ho scritto in quella frase!».