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 2024  dicembre 14 Sabato calendario

Quel che succedeva nelle carceri di Assad

Fino a domenica scorsa il sistema repressivo siriano era stato raccontato da coraggiosi espatriati, sopravvissuti e pentiti dello stesso regime. Si sapeva di catene, torture, sparizioni nelle prigioni per detenuti politici e nelle celle del mukhabarat, il servizio segreto. In questi giorni, però, la Siria è ubriaca della sensazione di poter raccontare tutto del potere che non c’è più. E allora ex prigionieri, sopravvissuti per caso o liberati dai ribelli proprio domenica, donne e uomini, hanno riempito il taccuino dei cronisti. Per evitare la pornografia dell’orrore, ecco l’alfabeto dell’inumano che prendeva forma dietro le sbarre della dittatura di Assad.
A come anonimi. I carcerieri volevano rimanere senza volto e senza nome. Sapevano di commettere crimini per i quali un giorno avrebbero potuto pagare e allora evitavano di poter essere riconosciuti. Appena sentivano i manganelli sbattere sulle sbarre, i prigionieri dovevano accucciarsi con la faccia contro il muro in modo che il questurino entrasse nella cella senza essere visto. Quando un prigioniero aveva il permesso di guardare il volto di un aguzzino capiva che era arrivata la sua condanna a morte.
B come benda. Quella che il singolo detenuto chiamato fuori dalla cella doveva legarsi sugli occhi prima di uscire.
C come capò. Ogni cella aveva un responsabile. A giorni fissi, una o due volte alla settimana, i secondini chiedevano al capò chi fossero i quattro più indisciplinati. Se il capò li indicava venivano portati nella sala torture per tornare coperti di sangue, se il capò non nominava nessuno le torture toccavano a lui.
D come doccia. Tre volte al mese: nudi, in fila indiana, piegati in due e con le mani sugli occhi per non vedere le guardie ai loro lati che li bastonavano. Poi uno spruzzo d’acqua senza sapone e indietro allo stesso modo sotto altre bastonate. Zecche e pulci erano endemiche.
F come fila. Per l’ora d’aria, per gli interrogatori, per le docce e le rasature, i detenuti, che dovevano andare da una parte all’altra della prigione, camminavano nudi, piegati a metà, con la testa appoggiata al sedere di quello davanti.
I come interrogatori. Spesso inutili, solo scuse per picchiare e dar sfogo al sadismo degli ufficiali.
M come medici. A Sednaya ce n’erano due: Lujahin e «Figlio di puttana». Il secondo chiamato così perché era il modo in cui si rivolgeva ai «pazienti». Il primo famoso perché, invece di curare, picchiava malati e feriti.
N come numero. In prigione era vietato per i detenuti chiamarsi per nome, una volta dentro diventavano numeri. Il settimo della dodicesima cella diventava «il 7 della 12».
O come oro. Quello che i parenti cercavano di pagare perché i congiunti in prigione avessero un trattamento migliore o fossero rilasciati.
P come pressa. Quella usata a Sednaya. Non serviva solo per uccidere, ma anche per rompere le ossa ai detenuti e poi lasciarli storpi e con le emorragie interne a morire in cella con gli altri.
R come religione. A Sednaya era vietato dire «Allah u akbar», Dio è grande. Bisognava dire «Assad u akbar», Assad è grande.
S come stupro. Sistematico per le donne, uno stigma sociale che avrebbe dovuto impedire a tutta la famiglia di opporsi alla dittatura. Meno frequente per gli uomini, ma compiuto con sbarre di ferro o obbligando altri prigionieri alla violenza.
T come tortura. Non soltanto calci e spranghe, ma anche ore legati con le mani dietro la schiena e appesi al soffitto. Il detenuto doveva reggersi in equilibrio in punta di piedi. Prima o poi cedeva e lasciandosi andare si lussava lentamente le spalle. Poi c’erano pugni da far volare i denti, insulti e umiliazioni. Spesso a picchiare dovevano essere altri prigionieri scelti a caso. Lo scopo più che estorcere informazioni era disumanizzare.
V come visite. In teoria, per gli arrestati con un mandato del giudice, era prevista la visita dei parenti ogni 45 giorni. Nella pratica i detenuti imploravano i parenti di non venire. Dal momento della richiesta di colloquio potevano passare anche 4 ore. I parenti aspettavano, il prigioniero veniva picchiato.
Y come yogurt. Una volta al giorno i soldati addetti ai servizi, portavano da mangiare nelle celle. La razione era un chilo di yogurt ogni cella. E non importava se invece di 25 erano 40 o 50. Il capò faceva girare il barattolo, a ognuno toccava una cucchiaiata, massimo due. In più c’erano 7 olive a testa.
Z come Z. Il romanzo di Vassilis Vassilikos sulla dittatura dei colonnelli greci. In Italia venne tradotto come L’orgia del potere. I meccanismi di repressione si assomigliano in ogni dittatura, umiliano l’umano per togliergli la volontà di resistenza. È incredibile come, per quanto spietati e sanguinari, regolarmente falliscano.