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 2024  dicembre 13 Venerdì calendario

Le donne in Siria temono la sharia

Damasco – Avere 20 anni a Damasco, nei giorni della rivoluzione guidata dagli islamisti. Hana dice che è come stare «dentro una centrifuga di emozioni». Ci sono dei momenti «in cui mi sembra di essere appena nata, insieme alla libertà. Niente mi farà mai ripiangere Assad. Il minuto dopo ho paura, una paura fottuta». Due giorni fa un gruppo di combattenti di Hts le ha gridato «copriti i capelli!» da un pick -up in corsa. Era lostesso giorno in cui una sua amica le aveva telefonato, agitata, dopo uno scambio con un miliziano che le consigliava «di mettersi l’hijab, che così sei più bella».Hana ha 28 anni, è laureata in chirurgia e come tante damascene abituate a una certa libertà dei costumi e di carriera è preoccupata per il futuro: «Garantiranno la parità o finiremo con un governo islamista come l’Iran?». Nelle chat con le amiche si scambiano video e messaggi d’inquietudine. È diventato virale sui social il racconto di un’artista siriana che ha denunciato di essere stata importunata da un ribelle a un check point solo perché era in macchina con un amico: «Non siete sposati? Noi non siamo tanto abituati a queste modalità», le ha detto. L’angoscia si alterna a momenti di ottimismo, come quando si è diffusa la voce che al Shara (Jolani) aveva dato ordine ai miliziani di non disturbare le ragazze per come sono vestite. Nessuno sa davvero come sarà per le donne la Siria post-rivoluzione. I messaggi dei nuovi leader sembrano concilianti. Anche diversi combattenti dicono di non voler imporre costumi né codici di abbigliamento, poi però ci sono alcuni fatti.Il governo di transizione è composto da soli uomini, così come il consiglio politico. Nei ministeri dove si cominciano a formare le dirigenze, incontriamo poche ragazze e sono per lo più le impiegate del vecchio sistema. «È il modello Idlib, un modello islamico», s’accalora Ghada, che non era una sostenitrice del regime ma nemmeno l’ha combattuto. Nella cittadina del nord che è stata la roccaforte dei ribelli per 13 anni, «le donne non ricoprivano posizioni di leadership o incarichi ministeriali, ma erano attive nelle organizzazioni della società civile», ci spiega un giornalista di Idlib che ha raccontato tutta l’epopea dei rivoluzionari islamisti, e la loro metamorfosi. «Ma sulla base delle dichiarazioni del governo, mi sento ottimista. Sembra che saranno più aperti».È la speranza anche di Ghada. La incontriamo a Kassa, quartiere cristiano, davanti a una delle prime caffetterie hipster che ha riaperto dopo la caduta di Assad. Mentre parliamo davanti a una birra e a un succo d’arancia, un bombardamento israeliano colpisce poco distante, circa a un chilometro. Non si scompone. «Sono una ottimista, penso che non avremo un governo talebano. Le mie amiche mi rimproverano: “Ora dici così, poi tra due mesi dovrai coprirti”. Io voglio bere alcool, ballare, vestirmi come mi pare. E combatterò contro chiunque metta in discussione i miei diritti». Remi, il proprietario del locale, ascolta con l’espressione affranta. È alawita lui. «Mia sorella è fuggita a Latakia quando è caduto il regime, e durante il tragitto si è messa il velo perché aveva paura: alcuni miliziani a un checkpoint le hanno detto che lo portava male, e che non si capacitavano di come suo marito potesse accettarlo. È molto preoccupata per il futuro».La comunità internazionale ha chiesto ai ribelli un governo “inclusivo e non settario” che rispetti i diritti delle donne, le “minoranze religiose ed etniche”. L’Onu, il G7, le organizzazioni internazionali cominciano a far pressione. Il portavoce del gabinetto, Obaida Arnaout, ha assicurato ieri che la nuova Siria si fonderà sullo “stato di diritto”. Ma il futuro resta un’incognita. Domenica gli studenti musulmani hanno annunciato una preghiera islamica all’università di Damasco. È la prima volta che succede, in un Paese in cui per 40 anni l’intelligence ha spiato le moschee a caccia degli imam critici con Assad. «Io sono pronta», dice Dima, che ha 24 anni e studia in quel campus. «Non ho problemi con la loro fede, noi siamo dalla parte dei rivoluzionari. Ma voglio essere libera di vivere come credo, non accetterò un altro Afghanistan».