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 2024  dicembre 12 Giovedì calendario

Le ferrovie inglesi tornano pubbliche

Londra – La sinistra britannica l’ha aspettata per trent’anni. Era il 1993 quando il premier conservatore John Major, erede della “lady di ferro” Margareth Thatcher, privatizzò la rete ferroviaria del Regno Unito. I laburisti promisero, allora, che prima o poi l’avrebbero riportata in seno alle proprietà dello Stato ma la campagna “bring back British Rail” è rimasta a lungo poco più che un motto. Ad andare oltre i proclami ci è riuscito il governo di Keir Starmer, promotore di una legge che spiana la strada alla rinazionalizzazione delle società di trasporto su rotaie a partire dal 2025.
Il provvedimento sulla proprietà pubblica dei servizi ferroviari per i passeggeri, uno dei primi dell’attuale legislatura ad aver completato il percorso parlamentare, è entrato in vigore il 28 novembre. Si tratta, in sostanza, di una modifica al Railways Act del 1993, l’impianto normativo su cui si è retto il sistema di concessioni private per la gestione delle ferrovie, che legittima lo Stato a non rinnovare i contratti in scadenza senza pagare penali. La prima società a tornare pubblica sarà, a maggio, la South Western Railway, che collega la capitale all’Inghilterra sudoccidentale. Seguiranno, a luglio, la c2c, operativa nell’Essex meridionale, e, in autunno, la Greater Anglia, che copre la trafficata linea tra l’aeroporto londinese di Stansted e la stazione di Liverpool Street. L’obiettivo del governo è rilevare nei prossimi cinque anni (una società ogni tre mesi) la gestione dell’intera rete ferroviaria – quasi 16 mila chilometri di binari, cinque linee dell’alta velocità, oltre 2.570 stazioni – che negli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia, è stata in gran parte già “commissariata”.
Il manifesto che, a luglio, ha portato i laburisti al potere dopo 14 anni di opposizione, precisa che la rinazionalizzazione è solo un passo verso una riforma più ampia dei collegamenti su rotaie. Lo scorso 4 dicembre è stato intanto avviato il processo di transizione: un programma condiviso dall’esecutivo con l’autorità competente, l’Office of Rail and Road, per assicurare nei mesi a venire la continuità dei servizi agli utenti e la stabilità lavorativa del personale. Un nuovo organismo indipendente, il Great British Railways, si occuperà di vigilare sulla controrivoluzione in atto e di coordinare i piani di manutenzione e miglioramento delle infrastrutture.
La determinazione dei laburisti a voltare pagina, onorando una promessa vecchia tre decenni, è dettata dall’urgenza di migliorare i servizi, modernizzare l’organizzazione e abbattere i costi per arrivare a proporre servizi per pendolari e viaggiatori occasionali con un miglior rapporto qualitàprezzo. Il sistema è da tempo in affanno: basta una variazione dell’orario per causare cancellazioni e ritardi; negli ultimi dieci anni i prezzi dei biglietti sono cresciuti di circa il 50%. «Le nostre ferrovie disastrate potranno finalmente essere ristrutturate », ha sottolineato Heidi Alexander, la neo Segretaria ai Trasporti, convinta che le criticità della rete siano il risultato di una strategia ibrida, troppo sbilanciata a favore dei privati, che penalizza il servizio a favore del profitto. L’opposizione Tory contesta i piani di Starmer sostenendo che la gestione pubblica non farà molta differenza se non sostenuta da seri investimenti nel settore e che, anzi, la proprietà statale rischia di diventare fonte di ulteriore pressione sui contribuenti a fronte di servizi poco performanti.
La ministra Alexander ha in parte ammesso che ci vorrà del tempo prima di poter offrire servizi economicamente più accessibili ma, a breve termine, questa è la speranza, i passeggeri potranno contare per lo meno su treni più frequenti e puntuali. Il Paese aspetta di capire se l’approccio “più Stato” funzionerà davvero. L’ala più a sinistra del governo vorrebbe adottarlo pure per rimettere in sesto la rete di distribuzione di acqua e elettricità. Di rinazionalizzazione si parla anche come di una possibile soluzione per strappare ai cinesi di Jingye i piani di ristrutturazione (e licenziamenti) della storica acciaieria British Steel privatizzata dalla Thatcher alla fine degli anni ‘80. Dieci mesi di gestione statale dell’azienda, disposta nel 2020 in attesa di trovare un nuovo acquirente, costarono agli inglesi 600 milioni di sterline.