il Giornale, 12 dicembre 2024
Gratteri: le mafie non sono più violente come un tempo
«Dal premier Giorgia Meloni è arrivato un segnale importante nella lotta alla mafia, il 416bis andrebbe rivisto perché le mafie hanno meno bisogno di usare la violenza, i magistrati dovrebbero fare ammenda dopo il caso Palamara e scegliere la strada del dialogo con la politica». Il Procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri sta girando l’Italia per presentare il suo ultimo libro sulle mafie Una Cosa sola, scritto per Mondadori come sempre assieme ad Antonio Nicaso. Lo abbiamo intercettato dalle parti di Monza, prima di pranzare da Pizza Aut da Nico Acampora a margine di una kermesse organizzata dall’associazione Su la Testa dell’ex consigliere regionale M5s Luigi Piccirillo per qualche domanda sulla politica nazionale, lo scenario internazionale e l’allarme sulla cybersicurezza scoperto proprio da una delle sue recenti indagini.
Nel libro a pagina 113 fa un’apertura di credito al premier Giorgia Meloni nella lotta alla mafia ma critica l’abolizione dell’abuso d’ufficio e la stretta sulle intercettazioni. Qual è il suo giudizio complessivo?
«Non è stata toccata la legislazione antimafia, né l’ergastolo ostativo e il 41bis. Ed è stato un segnale importante. Le riforme che hanno riguardato il codice penale e il codice di procedura penale, invece, hanno reso più difficile la ricerca della prova, rallentando i tempi del processo e indebolendo le parti offese. L’abolizione dell’abuso d’ufficio, l’avviso preventivo all’indagato prima del possibile arresto seguono logiche, a dir poco, discutibili, di cui non è facile capire la ratio».
Secondo lei il vecchio 416bis come reato non basta più e andrebbe riscritto. Come?
«Eviterei di toccarlo, anche se andrebbe chiarita la definizione di forza di intimidazione del vincolo associativo, prevedendo il concetto di riserva di violenza che non sempre deve essere manifestata per dimostrare il metodo mafioso. Oggi le mafie hanno meno bisogno di usare la violenza, potendo contare su armi più efficaci come la corruzione, l’intimidazione e la reputazione criminale acquisita sul campo».
Lei che è lontano dalle degenerazioni correntiste della magistratura cosa ne pensa dello scontro tra Parlamento e toghe sulla riforma della giustizia?
«Non appartengo a nessuna corrente, ma ritengo che si debba riflettere sull’attuale momento politico. I poteri dello stato devono rimanere separati e il dialogo dovrebbe tornare a caratterizzare il rapporto tra magistratura e politica. Lo scontro non fa bene a nessuno, né tantomeno ai magistrati che avrebbero dovuto fare ammenda e sciogliere il Csm dopo il caso Palamara per non essere accusati di autoconservazione».
La Siria di Assad per anni si è retta sul Captagon, la droga sintetica detta «dei combattenti». Il risiko in Medioriente può davvero cambiare gli equilibri del narcotraffico?
«Ogni cambiamento geopolitico può avere impatti sul narcotraffico e le sue tante rotte. Bisogna valutare attentamente gli sviluppi della situazione per trarre spunti e osservazioni utili al lavoro di indagine».
L’attacco hacker al ministero della Giustizia, le password di suoi colleghi violate, gli scandali Striano in Antimafia e Equalize a Milano. Manca una cultura della cybersicurezza?
«Ovviamente, manca una cultura della sicurezza cibernetica. Non abbiamo investito in questo settore e ci troviamo di fronte a situazioni come quelle da lei descritte. Da anni sostengo che bisogna colmare il gap tecnologico con altre polizie e che bisogna alzare le barriere protettive. Ci sono domini strategici che sono a rischio, come ha messo in evidenza l’indagine coordinata dalla mia Procura sull’hacker che aveva violato il dominio del ministero della Giustizia».