La Stampa, 12 dicembre 2024
Verso il vaccino contro il melanoma
Se il 2024 è stato l’anno in cui l’Italia è entrata ufficialmente nell’impresa che punta a portare in clinica il primo vaccino anticancro come terapia per il melanoma, il 2025 sarà l’anno in cui potremo iniziare a capire se siamo sulla strada giusta o meno.Il prossimo gennaio, infatti, sarà un anno esatto da quando all’Istituto Nazionale dei Tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli è iniziata la sperimentazione di fase 3, l’ultima prima di un’eventuale approvazione, del vaccino a mRna di Moderna. «Il 2024 è stato un anno di importanti novità e cambiamenti nel trattamento del melanoma e sono convinto che il 2025 non sarà da meno», afferma Paolo A. Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma e direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Pascale di Napoli, che proprio di recente ha fatto un bilancio sull’argomento in occasione di due eventi a Napoli, l’Immunotherapy e il Melanoma Bridge. I dati definitivi dei test sul vaccino dovrebbero essere disponibili nel 2027.«Nel frattempo, con l’anno nuovo dovremmo entrare nel pieno della sperimentazione dello stesso vaccino a mRna nei pazienti con carcinoma della pelle a cellule squamose, il cosiddetto “tumore del marinaio”, perché colpisce chi si è esposto troppo al sole senza accurata prevenzione, come, appunto, i marinai o i braccianti – racconta Ascierto –. Di recente, infatti, abbiamo avviato l’arruolamento dei pazienti per quello che sarà uno studio di fase 2», aggiunge. Anche se non c’è ancora una tabella di marcia precisa, lo stesso vaccino verrà poi testato su altri tipi di tumore, come quello al polmone.Grandi novità sono attese anche per la terapia cellulare Til, acronimo di “Linfociti che infiltrano il tumore”. «Possiamo definirla una forma di immunoterapia 4.0, allo studio sul melanoma e presto anche per i tumori alla cervice uterina, che prevede più fasi – spiega Ascierto –. La prima consiste nell’asportare una parte della massa tumorale, separare da essa i linfociti T e metterli in coltura in laboratorio per farli moltiplicare grazie all’utilizzo di un’interleuchina. Bisogna, infatti, arrivare ad ottenere un “esercito” di miliardi di cellule Til capaci di riconoscere il tumore: è un procedimento che richiede dalle quattro alle sei settimane di tempo. A quel punto – continua – le Til vengono reinfuse nel malato, a cui nel frattempo è stata fatta una linfodeplezione, ossia sono stati eliminati tutti gli altri linfociti. Si fa quindi in modo che le Til prendano il loro posto, nella speranza che migliorino il controllo della malattia. A differenza delle terapie con Car-T, quindi, non si modificano geneticamente i linfociti, anche se questa rimane una possibile evoluzione».Infine, potrebbe arrivare in Italia un’altra forma di immunoterapia ancora, che prevede l’uso di virus oncolitici. «Da poco è stata approvata dalla Food and Drug Administration, l’agenzia americana che regolamenta i farmaci, una nuova combinazione terapeutica – conclude Ascierto – che consiste nella somministrazione di un immunoterapico, il nivolumab, con Rp1, un virus dell’herpes simplex geneticamente modificato: questo è in grado di eliminare le cellule cancerose direttamente, ma anche indirettamente, rilasciando molecole che stimolano l’attività del sistema immunitario. Un approccio promettente, su cui l’Italia è impegnata in prima linea».