La Stampa, 12 dicembre 2024
L’avvocata di Dominique Pelicot
Parigi – L’etichetta di «avvocata del diavolo» non sembra pesare più di tanto a Beatrice Zavarro. Del resto, sapeva a cosa andava incontro quando ha accettato di difendere Dominique Pelicot, l’uomo che tra il 2011 e il 2020 ha sedato la moglie Gisèle a sua insaputa per farla violentare da decine di sconosciuti contattati via Internet. Un orrore che ha scioccato la Francia intera, accendendo i riflettori su alcuni temi legati alla violenza sulle donne, come la mancanza del concetto di consenso nella definizione giuridica di stupro o la «sottomissione chimica», espressione volta ad indicare quegli abusi avvenuti dopo che la vittima è stata drogata da stupefacenti o farmaci.La legale 55enne è finita per diventare uno dei protagonisti di quello ribattezzato da molti come il «processo del secolo», in corso al Tribunale di Avignone. Lei, una donna, chiamata a difendere «l’orco di Mazan», dal nome del Paesino del Sud della Francia dove sono avvenute le violenze.Si tratta di «fare luce su tutto questo», diceva Zavarro un mese fa a France Bleu. Nata a Marsiglia da una famiglia di commercianti ebrei di origine spagnola, l’avvocata, che preferisce essere chiamata con il titolo al maschile, non sembra essere abituata a stare sotto i riflettori. Lo si capisce anche dalle sue arringhe, sempre pacate e mai sopra le righe, dalle quali però emerge tutta la tenacia del suo carattere. «Non so urlare», confessava qualche giorno fa a Le Monde.Ma nonostante lo stile composto e la sua corporatura minuta, dovuta anche ad una osteoporosi che le ha fatto perdere qualche centimetro negli ultimi anni, Zavarro è stata in grado di mettersi al centro della scena quando è arrivato il momento di prendere le parti in aula del suo assistito. Per lui l’accusa ha chiesto 20 anni, il massimo della pena. L’avvocata sa bene che sarà difficile ottenere uno sconto e forse non è nemmeno questo l’obiettivo.La sua difesa è improntata all’umanizzazione di Dominique Pelicot, che ha riconosciuto i fatti a differenza della maggior parte dei 50 imputati, tutti accusati di aver partecipato alle violenze. Molti di loro contestano le richieste di condanna ricevute, che vanno dai 4 ai 18 anni, scaricando la responsabilità sull’ex marito di Gisèle. Qualcuno sostiene addirittura di non essersi accorto che la vittima era in uno stato comatoso al momento dei fatti a causa degli psicofarmaci assunti. «Non ci sono mostri» ma «ci sono atti abietti commessi da un uomo che si assume le sue responsabilità e si spiega», affermava la scorsa settimana a Le Parisien Zavarro, contattata nel marzo 2021 da Monsieur Pelicot, venuto a conoscenza del suo nome da un detenuto mentre era in carcere. Una volta accettato l’incarico, la legale ha incontrato il suo assistito un centinaio di volte in prigione. «Saremo lei e io contro tutti», ha più volte detto al suo cliente, con il quale sembra ormai aver stabilito un rapporto: ho «intrecciato un legame» con lui per cercare di portarlo a fornire «spiegazioni».Nei confronti di Gisèle, la vittima che ha deciso di far svolgere il processo a porte aperte per sensibilizzare al massimo l’opinione pubblica, Zavarro ha detto di avere «rispetto», definendo la sua scelta «utile e coraggiosa».Certo, assistere Dominique Pelicot l’ha esposta ad un’ondata di pubbliche accuse, arrivate da una fetta dell’opinione pubblica. «Un giorno un uomo, al tribunale, si è avvicinato e mi ha detto, guardandomi dritto negli occhi: “Faccia attenzione a lei"», ha raccontato l’avvocata donna, che ha ricevuto anche telefonate minatorie e minacce di vario tipo. Le ostilità, però, sono arrivate anche da alcuni colleghi. Soprattutto quelli intervenuti nel processo per difendere gli altri imputati, che hanno provato a scaricare tutta la responsabilità sul mostro di Mazan. «Non direi che è sleale, ma è brutto», ha dichiarato a tal proposito Zavarro, ricordando di non aver «richiesto nulla nei confronti di nessuno» durante i suoi discorsi. L’avvocata ha saputo rispondere agli attacchi, scegliendo spesso l’offensiva come arma di difesa, anche se non sono mancati i momenti difficili. Come quando ha visto per la prima volta uno dei video degli stupri registrati da Dominique Pelicot. In questo il marito Edouard, dal quale ha avuto un figlio che oggi ha 26 anni, si è rivelato essere un sostegno fondamentale, come dimostra anche la sua presenza in aula durante le udienze. La donna è andata avanti, nel tentativo di mostrare al mondo «l’altro Dominique». Quello cresciuto in un clima familiare difficile dominato da un padre «tirannico», che crescendo ha anche subito più volte degli abusi sessuali stando ai suoi racconti. La difesa non ha mai cercato di sminuire o negare quanto avvenuto a Mazan per una decina di anni. L’impressione è che ci sia una voglia di capire le motivazioni di una figura dotata di «una certa perversione», che «amava più di ogni altra cosa» la moglie, nonostante l’inferno al quale l’ha sottoposta per tutto quel tempo.