La Stampa, 12 dicembre 2024
Analfabetismo, il vero problema è con gli anziani
Roma – L’Italia raccontata dall’indagne Piaac dell’Ocse sulle competenze degli adulti? Un Paese dove gli anziani rischiano di non poter accedere a servizi essenziali come quelli sanitari, avverte Natale Forlani, presidente dell’Inapp che per l’Italia, su incarico del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ha curato l’analisi.Il quadro che emerge è poco incoraggiante. Da che cosa dipende la distanza tra gli adulti italiani e quella degli altri Paesi Ocse?«Sui risultati del nostro Paese pesano gli ampi divari interni determinati principalmente da quattro componenti: il territorio, l’età, il livello di istruzione il genere».Iniziamo dal territorio.«I residenti nel Nord e nel Centro d’Italia riescono spesso a raggiungere punteggi di competenze cognitive pari a quelli della media Ocse, al contrario di quanto accade nel Mezzogiorno che presenta valori sempre significativamente inferiori alla media italiana e conseguentemente a quella Ocse. L’incapacità di offrire una formazione adeguata a chi vive in diversi territori è uno dei buchi neri dello scenario italiano».E gli altri quali sono?«L’offerta formativa che viene generata nel nostro Paese è in generale al di sotto dei bisogni della popolazione, sia per quantità sia per qualità. Esiste un problema di diversificazione dell’offerta formativa: quella finalizzata alla fascia anziani e quella rivolta ai giovani che non lavorano e non studiano sono priorità che dovrebbero essere affrontate».Qual è la conseguenza per gli anziani di questo buco formativo?«Le persone di 55-65 anni mostrano i valori di competenza più bassi. Più si va avanti con l’età più aumenta la distanza rispetto agli altri paesi Ocse e le competenze si riducono. Dobbiamo inoltre considerare che abbiamo uno dei tasso di invecchiamento più elevati al mondo e questo trascina in basso l’Italia, provocando effetti sullo sviluppo del nostro Paese».Vale a dire?«Le competenze di base della popolazione hanno fin dall’inizio della storia industriale una relazione diretta rispetto al tasso di sviluppo. Ora con l’impatto delle nuove tecnologie le competenze assumono un ruolo particolarmente rilevante per accedere ai servizi digitali. Saper usare le tecnologie digitali, per esempio, può migliorare molto il grado di partecipazione alle prestazioni sanitarie della popolazione e paradossalmente la popolazione anziana è quella che ne ha più bisogno ma che risulta più carente e rischia di essere esclusa».Pesano ancora anche le differenze di genere.«Gli uomini continuano ad avere migliori risultati delle donne nella capacità di utilizzo delle informazioni matematiche (numeracy), mentre non vi sono differenze di genere nella capacità di lettura e comprensione dei testi o nel risolvere i problemi. La differenza di genere in numeracy aumenta, sempre a sfavore delle donne, quando le analisi sono circoscritte alle sole persone con istruzione terziaria, ma si annulla se si considerano solo gli adulti con un titolo di studio terziario in percorsi Stem (le discipline scientifico-tecnologiche). Vuol dire che la differenza non è un problema antropologico, ma risente degli stereotipi legati al mercato del lavoro. Per colpa di questi stereotipi abbiamo una quota limitata di donne con titoli Stem che pone ostacoli al raggiungimento della parità di genere nelle competenze di numeracy, ma anche alla crescita complessiva delle competenze del Paese».E poi ci sono i giovani, in genere un punto dolente della società italiana.«In questo caso invece assistiamo a un risultato originale rispetto a quello degli altri Paesi Ocse e molto positivo, specialmente in ottica prospettica. I giovanissimi, vale a dire la popolazione della fascia 16-24 anni, raggiungono punteggi di competenze superiori al resto della popolazione e, nel caso della numeracy, anche dei giovani di 25-34 anni. Il divario di competenze tra 16-24enni e 55-65enni, in termini di valori medi di competenze, è sempre evidente qualsiasi sia il dominio preso in esame: ciò che si osserva nel caso italiano è una notevole perdita di competenze all’avanzare dell’età».Da che cosa dipende?«I risultati meno brillanti della fascia 25-34 anni dipendono dal ritardo del sistema universitario. Abbiamo una quota di laureati inferiore rispetto a quella degli altri paesi Ocse e una qualità meno valida di percorsi, soprattutto nelle materie scientifiche e matematiche. Il buon risultato della fascia 16-24, invece, dipende anche dalla capacità di usare le tecnologie da parte delle nuove generazioni».A parte questo tiepido segnale di speranza legato alla fascia più giovane il quadro appare abbastanza desolante. Come intervenire?«Questi problemi hanno un impatto nelle relazioni economiche a livello internazionale, senza un titolo di studio adeguato la capacità di innovazione si riduce. L’Italia deve investire di più per rendere attrattivi i territori del Mezzogiorno e recuperare quote di popolazione attiva che non sono adeguatamente utilizzate, in particolare donne e giovani attraverso interventi sul sistema formativo».