la Repubblica, 12 dicembre 2024
Fabriano non produrrà più la carta da ufficio
Le risme Fabriano Copy 2 resteranno un ricordo. L’ultima bobina di carta destinata a stampanti e fotocopiatrici ha lasciato gli impianti marchigiani dopo quasi cinquant’anni di attività ininterrotta. Era il 1976 quando l’azienda ha iniziato a sfornare carta da ufficio notte e giorno. La buona notizia, però, è che il gruppo Fedrigoni, al quale fa capo il brand, con la storica macchina F3 ha bloccato anche i 173 licenziamenti minacciati nell’ottobre scorso. E che la società – controllata dagli americani del fondo Bain Capital dal 2017 – non ha intenzione di lasciare Fabriano, che dal 1264 significa carta.La ricollocazione nelle altre fabbriche avverrà nei prossimi 12 mesi, il tempo della cassa integrazione straordinaria. Ora l’azienda punta a spingere l’acceleratore sulla carta premium e su quella per i passaporti, che ha fatto registrare una crescita della domanda dopo la Brexit. Lo sa bene Marco Nespolo, amministratore delegato del gruppo: «L’anno che abbiamo davanti ci darà il tempo di identificare nuove opportunità occupazionali anche grazie al potenziamento di alcuni segmenti del business Fabriano, come le carte speciali per il disegno artistico, le carte di sicurezza (leggi passaporti, appunto) e i prodotti per la scuola e la cartoleria realizzati nelle Marche, su cui intendiamo investire», rassicura l’ad. «Abbiamo un piano di investimenti per i prossimi quattro anni da oltre 300 milioni di euro a livello globale, di cui – ragiona ancora il manager – una parte è destinata ai nostri cinque stabilimenti che sono nella regione».La scelta di uscire dal business dell’ufficio è stata quasi obbligata per il gruppo, dopo la ricerca di nuovi partner, andata a vuoto, e di possibili acquirenti, anche questi inesistenti. Meglio quindi lasciare perdere, anche perché si tratta di un settore che non dà margini e di cui non si vedono sviluppi futuri: si stampa sempre meno e la concorrenza della finlandese Upm Raflatac e della finno-svedese Stora Enso non lascia spazi. Decisione difficile tanto che «i dipendenti erano in lacrime quando si è fermata la storica F3, la macchina più grande di tutto il gruppo», racconta Valerio Monti, dipendentedi Fedrigoni e segretario Uilcom.Capitolo ricollocamenti. Sulla base dell’accordo firmato al Mimit, gran parte dei lavoratori sarà riassorbita negli stabilimenti della zona, seppur in comparti e mansioni differenti, come nelle fabbriche Fedrigoni del Nord Italia: Trentino, Friuli e Veneto, su base volontaria e con benefit. La scommessa, adesso, passa attraverso l’ampliamento delle attività a più alto valore aggiunto. «Così i posti di lavoro verranno salvati», spiega Gianluca Carrega, che per la Slc Cgil ha seguito tutta la vicenda. «Per noi la reindustrializzazione è l’obiettivo più importante», dice il sindacalista. Pino Gesmundo, segretario confederale della Cgil, promette di mantenere i riflettori accesi su Fabriano: «Abbiamo tolto dal tavolo i licenziamenti, che erano e restano inaccettabili. Continueremo a monitorare come l’azienda riassorbirà la forza lavoro, in un territorio nel quale c’è un rischio desertificazione altissimo, sia dal punto di vista industriale sia da quello sociale e demografico. Basti ricordare il caso Beko».