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 2024  dicembre 08 Domenica calendario

Anche gli animali fanno la guerra. Differenze e analogie con l’uomo

Ci siamo imbarcati da qualche tempo in un’analisi delle differenze fra gli esseri umani e gli animali «selvatici», che esistono soprattutto per quanto riguarda il cosiddetto «male», cioè la guerra, la rivalità e certe malattie. Non c’è dubbio che, fra questo insieme di entità negative, la guerra, almeno fra noi umani, è una delle peggiori. E c’è anche una differenza di stile nel modo in cui viene dichiarata e nel modo in cui passa in secondo piano. 
La prima cosa che salta agli occhi è che le guerre tra esseri umani sono più numerose e durano meno, mentre tra gli animali – anche tra quelli più feroci gli uni contro gli altri – le guerre vere e proprie sono poche e di non grande peso. Gli animali – tutti gli animali – si trovano in continuo stato di agitazione, cui si mischiano inimicizie croniche, paura, intervallate da episodi temporali e territoriali di quiete. Forse non è un caso che noi umani diciamo «la guerra», mentre per gli animali si usa il termine «le guerre». Gli animali, soprattutto quelli di una certa stazza, sono spesso in guerra tra loro, con assalti, trabocchetti, improvvisi attacchi, ma si tratta di gruppi o di gruppetti che si formano velocemente e velocemente si dissolvono. Non si tratta di «pace», ovviamente, ma non la possiamo chiamare davvero «guerra». 
Gli esseri umani, invece, alle normali inimicizie e rivalità, aggiungono di tanto in tanto veri scoppi d’odio, per cui si passa da scontri per gruppetti a guerra per masse. 

L’uomo s’è chiesto da tanto tempo perché sia così e la spiegazione più semplice l’ha ricercata proprio nella nostra natura umorale ed emotiva. Da una parte è ovvio che se anche gli animali fossero in guerra tra loro con le vere stimmate della guerra, sarebbe una grande e continua carneficina; d’altra parte, è altrettanto ovvio che gli animali lasciano più fare, portano meno rancore, s’infiammano soltanto nel momento dello scontro. Perché non si sa, ma si può tentare una risposta immaginando a rovescio cosa succederebbe se gli animali facessero continuamente guerre. 
Gli animali sono più irascibili, ma meno continui e razionali nella loro azione. E hanno una memoria più corta. A questo va aggiunto che il modo di portare avanti uno scontro di una persona più intelligente è molto più pericoloso di quello di un combattente più grossolano. Pensiamo alle spie, pensiamo all’organizzazione bellica, pensiamo alla maniera in cui tutti noi vediamo questi avvenimenti. Due sono le grandi differenze: la maggiore intelligenza e la maggiore memoria dei contendenti. Una guerra tra esseri umani diventa un apparato, con dipartimenti, suddivisioni, tempi e modi; mentre uno scontro tra animali somiglia piuttosto a una zuffa, la quale ha il vantaggio di durare meno. Quando andavamo a scuola, ci chiedevamo perché le guerre sono tanto più temibili: la risposta era, anche allora, che una guerra umana è organizzata, un combattimento animale è parzialmente organizzato e lo stile dell’organizzazione dei due combattimenti è decisamente diverso.

Tutto questo chiarisce abbastanza bene la differenza fra una guerra tra umani e uno scontro tra animali. Nel quadro generale degli scontri di una certa consistenza negli animali selvatici, il massimo dell’aggressività si registra in tempi relativamente brevi, insieme al massimo dell’intervento materiale. Questo ha due aspetti: da un punto di vista, rappresenta un meccanismo che equipara la tensione bellica in un caso o nell’altro; da un altro punto di vista, ci mette in agitazione in misura della velocità con cui gli eventi procedono verso lo scontro palese. Non credo che esista un motivo per avere programmato questa differenza, ma sta di fatto che ora che c’è, risulta molto comodo per una delocalizzazione delle manifestazioni più severe, ma non abbiamo detto ancora perché è così, anche se è facile capire che l’assetto reale è molto meno pericoloso di quello ipotetico. Ciò nonostante, chiunque sente a pelle questa differenza: in un caso, si sta sempre sul chi vive; nell’altro, ci sono momenti di vera quiete. Abbiamo detto d’altra parte che un dissapore sbocciato più lentamente e meno tempestivamente posto in essere comporta rischi materiali veramente diversi. Quindi, se si potesse fare una classifica del male in queste vicende, la guerra tra esseri umani apparirebbe più pericolosa della guerra tra gruppi animali, che non è molto diversa da una guerra tra bande. 
È chiaro anche che tutto l’animale viene scosso dagli eventi che lo riguardano molto più efficacemente che da scontri di tipo diverso. Nella pratica, invece, quando vediamo il corpo di due contendenti intriso di sangue, noi umani ci terrorizziamo molto più di quando certe scaramucce sono appena iniziate. Il sangue è parte integrante della metafisica della guerra e quindi di buona parte del male. Non è questione di fare semplicemente dei confronti quantitativi, è che il sangue ci spaventa più di uno schiaffo, forse perché siamo condotti tutti, uomini e animali, a vedere nel sangue il centro del dramma. Poiché tanto materialmente quanto psicologicamente è il centro del male, il sangue assume di per sé un ruolo emblematico negli scontri. Che muoiano da una parte centinaia di rinoceronti e dall’altra qualcuno che potremmo conoscere, fa una certa differenza. Nel quadro generale dell’esistenza, incomprensibile, il sangue ha quindi anche un ruolo deterrente e porta a un attimo di riflessione sulle azioni che si stanno compiendo.

Non è chiarissimo se per gli animali il sangue ha lo stesso significato che per noi esseri umani. Potremmo scaricare parte del carico negativo sulla rivalità. I problemi del male sono diversi e molto più vari di quello che si possa immaginare, ma il legame vita-morte non può essere considerato che primario. Questo forse può essere utilizzato quasi come un campanello d’allarme rispetto alla sostenibilità di una violenza e dell’odio che l’accompagna. Quando si arrivò a un’analisi che noi chiamiamo filosofica di tutte queste questioni, fu giocoforza classificare anche approssimativamente i vari tipi di male. Si potrebbe dire molto superficialmente che la quantità di sangue impegnata in un evento è in relazione diretta con la quantità di male commesso ed è per questo che al centro del male, nell’uomo, io ho lasciato un piccolo spazio per il male commesso dall’uomo, mentre è chiaro che la stragrande maggioranza di questo non è commessa dall’uomo, ma è collegata all’essere umano. 
Il problema del male – che consiste in primo luogo nel non sapere noi perché c’è, in secondo luogo perché può essere così atroce e in terzo luogo perché potrebbe essere senza troppa difficoltà depotenziato molto più di quanto lo sia effettivamente – acquista una rilevanza che lo rende un «oggetto importante», così importante della nostra vita-non vita, così che, senza il male, probabilmente la vita non sarebbe tale